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#news #tempi.it
La Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la Cop29 in corso a Baku in questi giorni, prosegue stancamente senza significativi progressi e nel disinteresse generale: snobbata dai grandi leader, ospitata da un paese esportatore di gas e petrolio che non rispetta i diritti umani, ma partecipato soprattutto dai vertici delle grandi compagnie petrolifere, il summit in Azerbaigian non ha ricevuto neppure un assist dal G20 in Brasile.
Nella dichiarazione finale del summit sudamericano non c’è nessun riferimento ad accordi vincolanti sul contenimento delle emissioni per frenare i cambiamenti climatici, solo impegni vaghi e la solita richiesta di più soldi dalle nazioni ricche a quelle in via di sviluppo per accelerare la transizione (soldi buttati, come ha spiegato Bjørn Lomborg su Tempi).
Prosegue insomma l’equivoco per cui i paesi in via di sviluppo non solo continuano a emettere gas serra senza un tetto e a bruciare petrolio e carbone, ma non devono contribuire economicamente allo sforzo globale per la transizione. In verità l’Unione Europea durante il G20 ha provato a sostenere che per raggiungere un obiettivo ambizioso più paesi devono contribuire finanziariamente agli sforzi per contrastare il cambiamento climatico, tra cui le nazioni in via di sviluppo più ricche, come la Cina e gli stati mediorientali ricchi di petrolio, ma è stata respinta.
Nella narrazione mainstream europei e americani sono i cattivi che non si preoccupano del clima che cambia, inquinano e – nei paesi governati dalla destra – sono pure negazionisti con le mani sporche del fango delle recenti alluvioni. Non solo, adesso che Donald Trump tornerà alla Casa Bianca e farà uscire gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, le cose andranno sempre peggio. Come spesso succede però la realtà è diversa dalla propaganda, e dalla realtà non si può prescindere.
Un anno dopo la promessa fatta alla Cop28 dai leader mondiali di abbandonare i combustibili fossili, il mondo sta bruciando più petrolio, gas naturale e carbone di sempre. Le emissioni globali di anidride carbonica da combustibili fossili, infatti, molto probabilmente raggiungeranno il record di 37,4 miliardi di tonnellate nel 2024, segnando così un aumento dello 0,8 per cento rispetto al 2023. Lo dicono i dati analizzati dal Global Carbon Project e pubblicati a Cop29 in corso che marcano, citiamo il New York Times, «una tendenza che allontana i paesi dal loro obiettivo di fermare il riscaldamento globale».
Non potendola dare (ancora) a Donald Trump, di chi è la colpa? Non del governo fascio-negazionista italiano, né di Orban o della AfD tedesca. Il documento sottolinea infatti che l’aumento delle emissioni non è stato uniforme in tutto il mondo, anzi: negli Stati Uniti e in Europa quest’anno sono diminuite, mentre in India e altri paesi in via di sviluppo sono aumentate in modo quasi esponenziale.
Come se non bastasse, un’analisi appena pubblicata da Carbon Brief dimostra come la Cina sia ormai stabilmente il paese che emette più gas serra al mondo e che nel giro di qualche decennio raggiungerà gli Stati Uniti nel calcolo delle emissioni storiche totali. Scrive ancora il Nyt commentando lo studio, che «negli ultimi tre decenni, la Cina ha costruito più di 1.000 centrali elettriche a carbone , mentre la sua economia è cresciuta di oltre 40 volte. Il paese è diventato di gran lunga il più grande emettitore annuale di gas serra al mondo […] e l’anno scorso ha superato per la prima volta l’Europa diventando il secondo maggiore emettitore storico».
Come ovvio Pechino tranquillizza tutti promettendo che le sue emissioni raggiungeranno il picco in questo decennio e poi inizieranno a calare (ma a quel punto sarà ormai troppo tardi, secondo le previsioni catastrofiste). Sono numeri che, sommati a quelli già citati delle emissioni dell’India e di altri paesi poveri, svelano l’ipocrita e inutile piano di intervento per salvare il clima a colpi di tagli alla CO2 e pannelli solari: perché continuare a considerare Cina e Arabia Saudita paesi in via di sviluppo e dunque non tenuti a contribuire agli aiuti finanziari per la lotta ai cambiamenti climatici? Dall’altra parte c’è chi accusa Europa e Stati Uniti di avere comunque fatto ancora troppo poco prima di poter chiedere ad altri di contribuire economicamente.
È il fardello dell’emettitore di CO2 bianco: come scrive Spiked, mentre Ue e Regno Unito fanno a gara a chi arriva prima al Net Zero, lasciando cadaveri di aziende e lavoratori lungo la strada, la Cina utilizza combustibili fossili più economici per dominare l’industria dei pannelli solari, portando la capacità delle sue batterie a circa quattro volte quella degli Stati Uniti, esercitando al contempo un controllo efficace sui minerali delle terre rare e sulla tecnologia per la loro lavorazione. La gente è sempre più preoccupata per l’economia e sempre meno per il clima, i verdi perdono voti e i politici non puntano più sull’ambiente per farsi eleggere. Qualcuno lo dica a chi ancora pensa che dalle Conferenze Onu sul clima possa venir fuori qualcosa di utile.
Duecentoquarantacinque anni e cinque mesi di carcere. Il braccio giudiziario del regime di Hong Kong, teleguidato da Pechino, ha seppellito ieri il movimento democratico della città sotto una valanga di sentenze durissime, condannando 45 tra attivisti, giornalisti e politici per il reato di «cospirazione al sovvertimento del potere statale», con pene che vanno dai quattro ai dieci anni di prigione.
Il processo dei “45 democratici”, la maggior parte dei quali si trova in carcere dal gennaio 2021, è il caso più eclatante di violazione dei diritti umani e di azzeramento dei diritti civili a Hong Kong da quando la Cina ha introdotto a forza e in modo illegittimo la legge sulla sicurezza nazionale nella mini Costituzione dell’ex colonia.
«Il processo è una farsa», dichiara a Tempi Mark Sabah, direttore per il Regno Unito e l’Unione Europea della fondazione Comitato per la libertà a Hong Kong. «I 45 condannati non hanno violato alcuna legge. Hanno soltanto esercitato i propri diritti garantiti dalla Costituzione: libertà di associazione e di espressione».
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Tra le personalità condannate ci sono alcuni degli esponenti più in vista del movimento democratico di Hong Kong: il docente di Giurisprudenza Benny Tai (10 anni), uno degli iniziatori nel 2013 del movimento Occupy Central with Love and Peace per chiedere il suffragio universale; Joshua Wong (4 anni e 8 mesi), uno degli attivisti più giovani e noti dell’isola; Wu Chi-wai (4 anni e 5 mesi), presidente del Partito democratico, che a Tempi pochi mesi prima dell’arresto denunciò la repressione del regime comunista; la giornalista Gwyneth Ho (7 anni), diventata famosa per aver filmato l’aggressione ai manifestanti pro democrazia nella stazione della metropolitana di Yuen Long, dove anche lei è stata aggredita.
Tutti sono stati accusati di aver organizzato l’11 luglio 2020 le primarie del fronte pandemocratico o di avervi partecipato come candidati. L’obiettivo delle primarie, come in ogni parte del mondo, era quello di selezionare i candidati migliori per provare a ottenere la maggioranza al Consiglio legislativo nelle elezioni parlamentari che si sarebbero dovute tenere il 6 settembre di quell’anno.
I 45 democratici (due altri arrestati sono stati assolti) sono insomma stati condannati a un totale di 245 anni di carcere per aver cercato di partecipare alle elezioni per vincere. Una sorta di inedito “reato di democrazia”. Come dichiarò dopo il loro arresto Lee Cheuk-yan a Tempi: «Le accuse sono inimmaginabili, ridicole, irrazionali. Com’è possibile che organizzare le primarie per le elezioni sia considerato illegale e sovversivo? La verità è che la Cina ha appena affermato che la stessa Costituzione di Hong Kong è sovversiva».
«Le autorità di Hong Kong vogliono far credere al mondo che queste 45 persone siano dei criminali, ma organizzare primarie non costituiva reato per la legge», spiega ancora a Tempi il direttore europeo del Cfhk, Sabah. «Queste condanne esorbitanti rappresentano un messaggio da parte delle autorità di Hong Kong e della Cina per tutti i giovani che ancora vogliono combattere per il futuro democratico della città ».
Il messaggio all’intera città di Hong Kong, riassume Sabah, non potrebbe essere più chiaro: «Se fate qualcosa che risulterà sgradita al regime di Pechino finirete in prigione oppure in esilio. I vostri diritti sono finiti, ormai comandiamo noi: arrendetevi, obbedite o passate il resto della vostra vita in carcere».
I 45 democratici avrebbero dovuto essere giudicati da una giuria popolare, ma come previsto dalla legge sulla sicurezza nazionale made in Pechino, e dalla seconda made in Hong Kong, sono stati invece processati da tre giudici speciali scelti dal governo della città .
Gli imputati avrebbero anche dovuto avere accesso alla libertà su cauzione, ma la legge cinese ha imposto di fatto un regime di carcerazione preventiva fino alla condanna.
Con le condanne del processo farsa agli esponenti del movimento pandemocratico, si avvera quello da cui metteva in guardia una dei condannati, Claudia Mo, all’indomani dell’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale: «È la fine di Hong Kong, sappiamo che amputeranno le nostre anime, ci porteranno via i valori che abbiamo sempre abbracciato: democrazia, diritti umani, stato di diritto»
La rapidità e la violenza con cui il regime ha messo a tacere il movimento democratico di Hong Kong ha lasciato sgomento tutto il mondo. Eppure, secondo il direttore europeo del Cfhk, c’è ancora speranza per la città : «Hong Kong vuole rimanere un centro finanziario globale, ma non può farlo se continua a reprimere le libertà della popolazione».
La comunità internazionale, aggiunge Sabah, deve sfruttare le ambizioni economiche della città e mettere pressione alle autorità locali: «Gli Stati Uniti vogliono sanzionare i giudici coinvolti nei principali casi di violazione della legge sulla sicurezza nazionale e alcuni dei principali funzionari del governo. Inoltre, vogliono chiudere le missioni commerciali di Hong Kong negli Stati Uniti (Hketo)».
Canada e Regno Unito si stanno muovendo allo stesso modo e anche l’Unione Europea potrebbe far valere il proprio peso economico con la Cina. «L’Ue non ha una grande influenza su Hong Kong, ma su Pechino sì. Speriamo che si spenda, oltre che a parole, anche nei fatti per assicurare che la situazione nell’isola migliori».
«La dimensione sessuale e la conoscenza della propria corporeità condizionano ogni istante della nostra vita, anche se spesso tendiamo a dimenticarne la centralità ». Sono queste le prime parole rilasciate a Tempi da Paolo Bordin, medico e presidente nazionale dell’associazione Bottega dell’Orefice, organizzatrice del corso “Educazione all’affettività e sessualità dei bambini e degli adolescenti” che prenderà il via venerdì 22 novembre a Udine presso l’Istituto Salesiano Bearzi.
Il percorso formativo si compone di un primo fine settimana in presenza (22-24 novembre 2024) a cui faranno seguito cinque incontri online tra dicembre e gennaio. Il corso terminerà con il secondo weekend conclusivo a Udine (31 gennaio-2 febbraio 2025). La Bottega dell’Orefice, che per realizzare l’evento ha collaborato con Diesse Fvg (Didattica e Innovazione scolastica), è un’associazione composta da insegnanti di regolazione naturale della fertilità e si occupa da vent’anni di educare giovani e adulti su questi argomenti, proponendo eventi e corsi di formazione su tutto il territorio nazionale.
«Gli interventi si concentreranno sui temi che da sempre ci stanno più a cuore: bellezza, persona, corporeità , relazione ed educazione – spiega Bordin -. Il nostro operato si basa sugli insegnamenti rivoluzionari della teologia del corpo di Giovanni Paolo II, che ha saputo valorizzare come nessuno prima di lui la preziosità della corporeità umana. Credo che, a differenza di quanto viene spesso detto, nessuno come la Chiesa sia in grado di valorizzare la persona, la corporeità e la figura della donna».
Il percorso formativo è pensato per approfondire aspetti biologici, psicologici, spirituali e sociali. Interverranno ospiti autorevoli «che provengono da contesti molto diversi tra loro e per questo possono arricchire di esperienze e competenze trasversali i partecipanti», spiega Bordin. Sarà quindi possibile passare dall’ascolto degli aspetti metodologici spiegati da Furio Pesci, ordinario di Storia della pedagogia alla Sapienza di Roma, al laboratorio “A corpo libero, il ballo come metafora della relazione (da soli, di gruppo, di coppia)” tenuto dalla coreografa argentina Angela Babuin.
Al centro degli incontri temi come biofertilità , psicologia dello sviluppo dell’età evolutiva, identità e autostima, dimensione corporea, anatomia e fisiologia dell’apparato riproduttivo maschile e femminile, bioetica, bellezza della corporeità e gestione del gruppo.
«Oggi mi sembra che l’educazione all’affettività si riduca ad alcune istruzioni per l’uso per non farsi troppo male – spiega Bordin -. Nel nostro tempo i bambini vivono una sessualizzazione precoce, che porta a trattare l’argomento in una forma assolutamente parziale. Così, sempre di più, ci troviamo di fronte a giovani che hanno un estremo bisogno di testimoni e insegnanti preparati e credibili sull’argomento. Per questo desideriamo riportare lo sguardo in primo luogo sull’educazione alla persona, tenendo sempre a mente che il corpo è un tesoro sterminato che ci è stato donato».
Tra gli ospiti interverranno don Alberto Frigerio, medico ed esperto di bioetica, l’ostetrica Rosaria Radaelli, il consulente educativo Marco Maggi, la psicologa Elena Canzi, don José Noriega, teologo morale statunitense, don Alessio Geretti, responsabile degli Eventi d’arte della Santa Sede per il Giubileo 2025, e molti altri. Saranno numerosi i momenti di confronto organizzati e di condivisone del lavoro, per poter comprendere come spendere i temi trattati e come trasmetterli in maniera interattiva. L’idea, inoltre, è che la proposta formativa abbia una continuità nel tempo, così da poter creare una rete in dialogo su questi argomenti, in un impegno che prosegua con una crescita costruttiva sul campo anche “a distanza”.