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#news #Potere #Popolo
Le immagini arrivate ieri sera da Istanbul sono impressionanti: una marea umana – oltre due milioni di persone secondo alcune stime – sono scese in piazza al culmine di un’altra settimana di proteste. Foto e video di cortei, manifestazioni, e violenze brutali della polizia turca, si rincorrono da giorni sui social e sui media internazionali. Per capire cosa sta accadendo facciamo un passo indietro.
Il 19 marzo, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu viene arrestato e successivamente portato in carcere. Le accuse che gli vengono rivolte vanno dalla corruzione a un generico fiancheggiamento di organizzazioni terroristiche. Imamoglu però è l’uomo più noto del partito di opposizione CHP (partito nazionalista kemalista), in tutta probabilità il candidato più forte a sfidare Erdogan alle prossime elezioni del 2028. La notizia dell’arresto del sindaco e di circa 100 persone del suo entourage provoca un’immediata reazione. Le opposizioni parlano di “golpe”, di una manovra fatta ad hoc per mettere fuori gioco il principale competitor di Erdogan alle prossime presidenziali. Dalla sera del 19 marzo decine di migliaia di persone si sono riversate in strada, non soltanto a Istanbul, ma in tantissime città della Turchia.
La protesta si allarga, il punto non è più “semplicemente” la liberazione del sindaco in carica: nel mirino c’è l’intero operato del regime di Erdogan e l’attuale assetto politico e sociale del paese. In piazza non ci sono soltanto i sostenitori del partito CHP. Le mobilitazioni, quotidiane, raccolgono migliaia di giovanissimi e studenti. Insieme a loro si ritrovano in piazza simpatizzanti e militanti delle più diverse espressioni politiche dei partiti di opposizione e non in linea con il nazionalismo liberista del CHP, dal partito dei lavoratori di Turchia (Tip) al Partito dell’uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem) al partito comunista turco.
La risposta del governo di Erdogan è violentissima. Repressione poliziesca e arresti di massa si verificano continuamente. In 10 giorni risultano fermate 2mila persone, circa 300 sono detenute in stato di arresto, alcune decine delle quali sono addirittura minori. Erdogan silenzia i social e oscura i canali televisivi che mostrano le immagini delle proteste in corso. Qualche giorno fa è stato sciolto, per “propaganda per organizzazione terroristica†, l’Ordine degli avvocati di Istanbul, colpevole di aver posto un’istanza relativa all’uccisione di due giornalisti curdi Nazım DaÅŸtan e Cihan Bilgin ammazzati da un drone turco nella regione dell’amministrazione autonoma della Siria del nord e dell’est.
Mark Lowen, giornalista della bbc inviato a seguire gli sviluppi delle proteste, è stato espulso dal paese dopo 17ore di detenzione per “minaccia all’ordine pubblico”. Un trattamento simile è toccato, venerdì scorso, al giornalista svedese Joachim Medin, arrestato sulle scale dell’aereo all’arrivo e poi incarcerato
Di fronte a una stretta repressiva soffocante, le piazze non si sono svuotate, le principali università del paese sono bloccate dal boicottaggio degli studenti. 15 milioni di persone hanno partecipato alle primarie che il CHP ha tenuto ugualmente, nonostante l’arresto del candidato principale. Da qualche giorno è partita una campagna di boicottaggio per le aziende vicine a Erdogan e ai suoi uomini di governo. Le rivendicazioni e gli slogan travalicano ampiamente la vicenda Imamoglu, i manifestanti chiedono la fine del regime di Erdogan, giustizia sociale e il rispetto del diritto al dissenso e alla contestazione politica.
D’altronde la Turchia di Erdogan è una polveriera: una crisi economica e sociale gravissima fa da sfondo a un processo di consolidamento autoritario sempre più accentuato. Da un lato impoverimento, disoccupazione e crisi finanziaria – le ultime rilevazioni parlano di contrazione del PIL, di inflazione alle stelle, con punte del 40%, e, dopo l’arresto del sindaco, il crollo della Lira turca di oltre il 12% ha spinto la Banca centrale turca (Tcmb) a vendere tra 5 e 10 miliardi di dollari di valuta estera -, dall’altro vere e proprie rappresaglie contro gli oppositori politici, repressione delle lotte sindacali e dei movimenti sociali, persecuzioni e aggressioni militari violente al movimento di liberazione curdo e al P*kk che non accennano a diminuire, in casa e oltre confine, neppure dopo lo storico appello del leader Oc*al4n, rimozioni forzate dei sindaci legittimamente eletti tra le file del partito filocurdo Dem sono il pane quotidiano.
Il tutto avviene mentre il regime turco assume sempre maggior peso sui tavoli della diplomazia internazionale (emblematico da questo punto di vista il regime change in Siria), nella partrnership con le istituzioni europee (tanto da affidare a Erdogan un ruolo chiave nella gestione dei flussi migratori, con conseguenti trattamenti disumani subiti da donne e uomini migranti) o italiane. Come ha dichiarato recentemente il ministro D’Urso, per l’Italia “la Turchia è un partner strategico”: l’interscambio tra i paesi ha raggiunto i 25,3 miliardi di euro nel 2024, con un aumento del 3,4% rispetto all’anno precedente. Le esportazioni italiane verso la Turchia sono cresciute del 6,5%. Il 23% delle armi che l’industria bellica esporta è diretto in Turchia (231 milioni di euro di nuove autorizzazioni nel 2023).
I prossimi giorni saranno decisivi per capire se quanto sta accadendo segnerà un momento di svolta nella vita politica del paese. Il governo italiano smetta di collaborare, di fare affari, e di armare, un regime liberticida e violento come quello attualmente al potere in Turchia. Siamo al fianco di chi si sta mettendo in gioco in prima persona, dei giovani e di tutte le persone che in queste ore chiedono una reale democrazia, giustizia sociale, e una prospettiva di futuro degna!
L'articolo IN TURCHIA E’ RIVOLTA ANTI-ERDOGAN proviene da Potere al Popolo.
Nelle nuove Indicazioni Nazionali per la scuola del primo ciclo (fino alla terza media), pubblicate a inizio Marzo e oggetto attuale di “consultazione†pubblica, il sostantivo “Occidente†o l’aggettivo “occidentale†variamente coniugato compaiono 26 volte, di cui almeno una ventina non come termini tecnici (riferimenti oggettivi negli obiettivi specifici di apprendimento), bensì come parole fondatrici di senso. Se pensiamo che nelle vecchie indicazioni il termine compariva soltanto due volte e solo in forma tecnica (es. Impero Romano d’Occidente) capiamo immediatamente che Occidente (scritto sempre con la maiuscola) è la cifra ideologica delle nuove indicazioni nazionali.
È utile soffermarsi su alcune di queste occorrenze. A pg. 8, nella premessa culturale generale, si scrive che il termine ‘persona’ ha radici storico-culturali occidentali. Gli estensori hanno addirittura aggiunto una nota argomentativa etimologica che fa risalire la parola al mondo romano al quale sarebbe arrivata dal greco prosopòn attraverso l’etrusco phersu: in pratica ci hanno tenuto a dirci che la parola persona viene dal latino e prima ancora dal greco. Una bella constatazione per un termine di una lingua neolatina, se avessero scritto che specchio deriva da speculum avrebbe avuto lo stesso valore scientifico. Il problema sta nella derivazione, sottintesa, che è il concetto, e non solo il termine, di persona ad essere occidentale. Lo si capisce dalle righe precedenti (“La Costituzione mette al centro la personaâ€, un refrain che viene dalle nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’educazione civica di cui abbiamo già parlato qui: https://poterealpopolo.org/linee-guida-governo-educazione-civica-boicottate/ ) e dal resto del testo. Che ci siano termini per indicare la persona in cinese o in arabo e che anche questi abbiano a che vedere con l’individuo – osservazione banale – non interessa agli estensori delle indicazioni.
A pagina 10 si scrive che la libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Qui l’anonimo estensore – usiamo il maschile singolare per conformarci all’uso governativo – si lascia prendere la mano e dimentica che Atene e soprattutto Roma sono state società rette sugli schiavi, e che se la schiavitù non è un primato occidentale, sulla tratta e sul commercio degli schiavi, quantomeno tra il XVI e il XIX secolo, si è costruito il potere e la ricchezza delle grandi monarchie europee. Questo per rimanere sul piano dei fatti storicamente assodati e indiscutibili, altrimenti potremmo andare oltre, ma riteniamo che la frase si commenti abbastanza da sé, soprattutto se letta con quanto scritto subito dopo: capire che cosa è la libertà e soprattutto cosa significhi essere liberi (anche attraverso il confronto con coloro che liberi non sono, in moltissime parti del mondo), agevola la comprensione di cosa sia una democrazia occidentale e le connessioni esistenti fra quest’ultima e il sistema dei diritti e dei doveri di cittadinanza conquistati dall’Europa, anche al prezzo di guerre terribili, nella prima metà del Novecento. (il grassetto è nostro). Insomma noi occidentali siamo liberi, gli altri no. Noi siamo democratici, gli altri forse. In che cosa si traduca questo assunto, quando decidiamo di esportare libertà e democrazia, l’abbiamo visto nei decenni precedenti e lo vediamo tuttora.
Il grosso delle ricorrenze di Occidente si trova nella premessa al capitolo sull’insegnamento della Storia. Sappiamo che di questo si è occupato Ernesto Galli della Loggia, quindi se sentite il bisogno di visualizzare nella mente il volto dell’autore degli estratti che seguono questo sarà , con buona probabilità , il suo. Dobbiamo dire che qui le difficoltà aumentano. Se prima erano un paio di boutades buttate là – gravissime, ma abbastanza grossolane – in questo caso l’autore, come si dice a scuola, si è voluto applicare, sin dall’esordio.
Solo l’Occidente conosce la Storia. Le maiuscole sono originali, siamo a pg. 68. Non ricordiamo così su due piedi un incipit così enfatico e ferocemente apodittico, se non In principio Dio creò il Cielo e la Terra. Non entriamo anche noi nel merito della totale infondatezza dell’affermazione, molti altri l’hanno già fatto meglio di noi (a titolo di esempio lo storico Marcello Flores qui: https://zetaluiss.it/2025/03/20/nuove-indicazioni-scuola- storia-bibbia/), ma ci concentreremo su altri aspetti, spie linguistiche che sono una chiara marca culturale.
Sempre a pg. 68, la cultura occidentale – padrona ed esclusiva titolare della Storia, come si è visto – è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo (grassetto nostro): siamo padroni, quindi, grazie alla superiorità intellettuale, non grazie a quella tecnologica, alle guerre di rapina, alla devastazione del continente sudamericano, africano, asiatico, al colonialismo e all’imperialismo; siamo padroni perché conosciamo la Storia!
Una Storia, sia detto tra parentesi, o meglio una tradizione storiografica occidentale che esiste e ha certamente le sue peculiarità , ma che nel documento è presentata in modo totalmente antidialettico e acritico: Erodoto, Tucidide, Tito Livio e Tacito tutti insieme appassionatamente, come una galleria agiografica di exempla eccellenti, quando qualunque laureata o laureato in storia antica o lettere classiche (ma forse anche delle o dei diplomati liceali) sarebbe in grado di esporre le profondissime differenze tra questi autori tra loro e, più in generale, tra la storiografia antica e le sue evoluzioni, che invece nel testo ministeriale sembrano discendere placidamente e naturalmente da quel passato (Quel tipo di osservazione e di racconto, arricchito dall’esperienza della storiografia romana, ha definito alcune caratteristiche basilari con cui la cultura occidentale da allora in avanti si è abituata a giudicare e narrare i fatti riguardanti le collettività umane, in genere la sfera sociale, sempre pg. 68).
Ma Ernesto Galli della Loggia è una fine penna oltre che un professore emerito, quindi ad un certo punto inserisce un coup de theatre, una sorta di ammissione di colpa a sorpresa, a pg. 69: ma nella coscienza europea ed occidentale del XIX secolo la storia, la propria storia, – … – assurge altresì a motivo decisivo per la formulazione di una presunta superiorità nei confronti di ogni altra popolazione e cultura della terra. Di quelle popolazioni e culture che nulla sanno di quanto sopra perché la loro storia ha seguito un tracciato assolutamente diverso non rivestendo perciò ad occhi occidentali alcun significato, potendo essere quindi tranquillamente ignorata. I grassetti sono sempre nostri, le parole no: gli autori del testo presentano come colpa del passato quella assunzione di superiorità che è stata da loro appena formulata. Capolavoro.
La riflessione sulla Storia e l’Occidente è sempre accompagnata da aggettivi che richiamano il dominio (padrona del mondo), l’eccellenza, il primato.
La storia (che abbiamo inventato noi, ndr), cioè la conoscenza e il giudizio sul passato, sono divenuti per questa via fonte decisiva per il pensiero e l’educazione politica dei popoli del mondo occidentale e in seguito di tutti i Paesi della terra. In particolare, anche grazie alla storia e alla politica, i popoli – dapprima quelli dell’Occidente poi quelli del mondo intero – hanno potuto prendere coscienza di sé, abituarsi a considerare la propria esistenza collegata a quella di milioni di propri simili, sono divenuti consapevoli di ciò che li univa – ad esempio una lingua o un passato comuni, una condizione sociale comune – e maturare così la volontà di acquisire un più ampio e organico protagonismo.
Ricapitolando. Solo noi conosciamo la Storia. La Storia è stata lo strumento per farci dominare il mondo. È grazie a noi e alla nostra storia che i popoli del mondo hanno potuto prendere coscienza di sé. A questo punto l’eco della Genesi che prima abbiamo scherzosamente evocato ritorna in tutta la sua tragica serietà : è l’Occidente che ha dato al resto del mondo coscienza di sé, che ha reso l’essere umano consapevole di essere umano. Possiamo solo immaginare la tensione lirica in sottocommissione nel momento in cui scrivevano o rileggevano queste parole.
Del resto la Storia serve solo a noi: essa infatti costituisce il principale strumento tanto per conoscere come si è formata la nostra civiltà , per comprenderne le caratteristiche di fondo e i valori, che per inquadrare al tempo stesso le vicende della scena mondiale e i rapporti di questa con l’Occidente. Gli altri, quindi, che non vengono praticamente mai nominati, esistono solamente in relazione con l’Occidente, come funzione dell’Occidente o meglio come non-Occidente. La Storia, bontà sua, serve ad indagare i rapporti tra Noi, il distinto, e questo magma indistinto.
In un’intervista per L’Espresso del 1979, relativa al suo testo principale Furio Jesi definisce la cultura di destra come “la cultura entro la quale il passato è una sorta di pappa omogeneizzata che si può modellare e mantenere in forma nel modo più utileâ€. Non solo Erodoto e Tucidide e Tito Livio e Tacito, ma anche gli eroi del risorgimento, i prigionieri dello Spielberg, la Piccola Vedetta Lombarda, tutti esempi, nomi, suggerimenti di un passato tanto glorioso quanto indistinto, anzi glorioso perché indistinto, non dialettico, agiografico ed apologetico. E ancora: “la cultura in cui si dichiara che esistono valori non discutibili, indicati da parole con l’iniziale maiuscola, innanzitutto Tradizione e Cultura ma anche Giustizia, Libertà , Rivoluzione. Una cultura, insomma, fatta di autorità , di sicurezza mitologica circa le norme del sapere, dell’insegnare, del comandare e dell’obbedire.
Stiamo parlando esattamente della filosofia di fondo delle nuove Indicazioni Nazionali, un testo che, contrariamente a quanto potremmo immaginare, è stato molto pensato e curato dagli autori, ne è testimonianza non solo l’estensione doppia rispetto alle precedenti ma anche un linguaggio volutamente semplice e piano. Ciò che emerge, in particolare dalle indicazioni relative alle materie umanistiche, è la spinta al ritorno alla “bella scuola di una voltaâ€, quella che costituisce, in maniera totalmente acritica e immotivata, quindi reazionaria, il fondamento pedagogico del testo, o quantomeno dei contenuti proposti. Ma attenzione: la cultura di destra non è solo di destra. Ancora Jesi, sempre nell’intervista: “la maggior parte del patrimonio culturale, anche di chi oggi non vuole affatto essere di destra, è residuo culturale di destra. Nei secoli scorsi la cultura custodita e insegnata è stata soprattutto la cultura di chi era piú potente e piú ricco, o piú esattamente non è stata, se non in minima parte, la cultura di chi era piú debole e piú povero. È inutile e irragionevole scandalizzarsi della presenza di questi residui, ma è anche necessario cercare di sapere da dove provengano.â€
Ecco quindi spiegata quella strana assonanza tra le parole del mondo liberal in piazza per armare l’Europa il 15 Marzo e questo testo. Uno Scurati che si chiede sulle pagine del principale quotidiano progressista italiano “Dove sono finiti i guerrieri d’Europa?â€, un Vecchioni che si lascia andare ad un elenco, ancora una volta un elenco, di grandi nomi del pensiero occidentale, nel momento stesso in cui pescano nel patrimonio culturale, come se fosse qualcosa di oggettivo, dato, e non qualcosa da mettere costantemente in discussione, fanno un’operazione marcatamente di destra, anzi peggio, si rendono complici – per rispetto della loro intelligenza non possiamo che ritenerli consapevoli – della destra.
Regola n. 1: non piangersi addosso. Questa è la reazione della falsa sinistra perbene, liberal, ogni volta che l’avversario mette a segno un colpo. Piangere e buttarla in caciara. Quello che dobbiamo fare noi invece è leggere, studiare, difenderci e contrattaccare.
Innanzitutto smettendola di cullarsi sulla presunta egemonia culturale della sinistra. L’abbiamo vista alla prova di recente, in un contesto diverso, quando abboccava senza battere ciglio alla fake news dell’internazionale di destra sull’identità sessuale e di genere di Imane Khelif (cfr. Repubblica che la descriveva tranquillamente come intersex quando non è mai stato vero: https://www.repubblica.it/politica/2024/08/02/news/algeria_reazioni_imane_khelif_carini- 423427088/).
L’egemonia culturale della sinistra, se è esistita, non esiste più. Lo ha certificato la piazza di Michele Serra, strabordante di interventi della sinistra con l’elmetto, e lo certificherà la debole se non assente risposta al possente lavoro culturale messo in atto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Un lavoro con l’acceleratore che ha già fatto passare la stretta sul comportamento dei dipendenti, le nuove linee guida sull’educazione civica, a breve le indicazioni nazionali, il codice etico, e per condire il tutto il divieto di usare simboli, come asterischi e schwa, che già nessuno usava. Tutti provvedimenti che reprimono il dissenso e mobilizzano la controparte, pronta a scagliarsi contro i loro nemici feticcio (cultura gender, multiculturalità , antirazzismo etc) col vero obiettivo di cancellare libertà e democrazia nelle scuole e negli spazi culturali tutti. Di fronte a questo attacco non c’è nulla da sottovalutare, non c’è ironia né senso di superiorità che salvi, c’è da rimboccarsi le maniche e difendersi, culturalmente, tenendo punto su punto all’attacco in atto, e praticamente, quando questi documenti apparentemente innocui (sì, ma chi vuoi che se ne importi, tanto in classe ci sono io…) si trasformeranno in controllo sui contenuti, sui libri di testo, e in sanzioni disciplinari. La controparte è solo all’inizio della battaglia e abbiamo tutti gli strumenti per fermarla, ma è necessario entrare in gioco, con serietà e determinazione. Non si fermeranno da soli.
L'articolo I MISTICI DELL’OCCIDENTE. NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI E CULTURA (NON SOLO) DI DESTRA. proviene da Potere al Popolo.
Il 31 marzo verrà emessa la sentenza del cosiddetto “Processo Sovrano”, l’ennesimo vile attacco repressivo orchestrato contro i movimenti sociali, le esperienze collettive. Ancora una volta, lo Stato risponde con il pugno di ferro alle istanze dal basso, dimostrando di essere incapace di offrire alcuna risposta alle lotte sociali che non siano gli strumenti penali. Repressione, criminalizzazione e punizioni esemplari: ecco l’unica lingua che conoscono.
In questo processo, 28 compagne e compagni di Askatasuna, dello Spazio Popolare Neruda e del Movimento No Tav sono imputati. Tra loro, 16 sono accusati dell’assurdo reato di associazione a delinquere, un’accusa costruita su un traballante impianto giudiziario e amplificata da una macchina del fango mediatica, il cui unico scopo è criminalizzare il dissenso e reprimere le lotte sociali.
Niente di nuovo; da anni chi lotta dal basso subisce un’incessante persecuzione, fatta di processi-farsa, misure cautelari, intimidazioni e sanzioni. Ma questo processo, che prende di mira attivisti del movimento No Tav, compagni e compagne del centro sociale Askatasuna e dello Spazio Popolare Neruda, è solo l’ultima vergogna di un sistema che usa la repressione come arma contro chi si oppone allo scempio del potere e alle terribili conseguenze del sistema di produzione in cui viviamo. Abbiamo realizzato questo video per denunciare questa infamia e per gridare la nostra rabbia e la nostra solidarietà .
Nulla di nuovo dicevamo, ma la vicenda del “Processo Sovrano” è istruttiva nel mostrare chiaramente come magistratura, polizia e media siano complici nella repressione di ogni forma di dissenso. Si dà libero sfogo alla fantasia punitiva, si inventano accuse, si costruiscono teoremi giudiziari ridicoli, si pretende persino che gli imputati risarciscano gli stipendi delle forze dell’ordine impegnate nella difesa di un’opera inutile e dannosa. È un’accusa talmente grottesca da sembrare surreale. Non si fermano davanti a nulla pur di punire chi ha l’ardire di alzare la testa.
Questa repressione è l’ennesimo tassello di una strategia più ampia: da anni, decreto dopo decreto, il securitarismo si impone come unica risposta alle rivendicazioni sociali. Vogliono piegarci agli interessi di pochi, soffocare ogni forma di resistenza e disinnescare quelle lotte che, nella storia, sono state il motore del cambiamento e dei diritti sociali.
Questo processo non riguarda solo chi è imputato: riguarda tuttÉ™ noi. È il tentativo di mandare a chi lotta un messaggio chiaro e brutale: chi intralcia i piani del potere verrà schiacciato senza pietà . Lo Stato, con i suoi magistrati, le sue forze dell’ordine e i suoi media servi, dimostra ancora una volta di non avere alcun riguardo per il presunto diritto di dissenso, la tanto proclamata divisione dei poteri, il diritto di associazione e la libertà di espressione. La loro democrazia è solo una maschera per giustificare la repressione e gli interessi di pochi, avidi affaristi.
Attraverso le nostre parole, quelle dell’avvocato Novaro e delle compagne e dei compagni di Askatasuna e Neruda, vogliamo smontare le loro menzogne, riflettere sui meccanismi in atto da parte della repressione e gridare forte che non ci faremo piegare. La repressione non ci spaventa! La risposta a questo attacco deve essere una sola: rilanciare le lotte, alzare il livello dello scontro, estendere il conflitto sociale, acquisire consapevolezza sul funzionamento della repressione, resistere con ogni mezzo e rispondere colpo su colpo. Nessuna messinscena giudiziaria potrà mai fermare chi lotta per la giustizia sociale!
Ci vediamo LUNEDì 31 MARZO ALLE H10:00 davanti al Tribunale di Torino
L'articolo [TORINO] PROCESSO “SOVRANO”: NO ALLA REPRESSIONE, SI’ AL CONFLITTO SOCIALE! proviene da Potere al Popolo.
In una sera del settembre 2024, il presidente argentino Javier Milei si è presentato davanti a una grande folla nel Parque Lezama di Buenos Aires. Indossava la sua solita giacca di pelle scura e urlava il suo discorso, la folla divorava ogni parola. “Ecco i troll”, ha detto, “giornalisti corrotti, personaggi loschi. Questi sono i troll. Poi, ha indicato le persone tra la folla e ha detto che erano invisibili perché i giornalisti avevano “il monopolio dei microfoni”. Era un linguaggio duro, una replica dell’affermazione di Donald Trump secondo cui giornalisti e giornaliste sono il “nemico del popolo” (che è a sua volta un’eco della dichiarazione del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon al suo consigliere Henry Kissinger nel 1972: “La stampa è il nemico. La stampa è il nemico. L’establishment è il nemico. I professori sono il nemico. I professori sono il nemico. Scrivilo sulla lavagna 100 volte e non dimenticarlo mai”). Queste dichiarazioni hanno un costo. Da quando Milei è entrato in carica nel dicembre 2023, gli attacchi a giornalisti e giornaliste sono aumentati.
L’Argentina ha una storia dolorosa. Ha lottato con il governo militare per quasi un quarto del secolo scorso: 1930-1932, 1943-1946, 1955-1958, 1962-1963, 1966-1973 e 1976-1983. La più inquietante della serie è stata l’ultima, in cui una giunta militare dell’esercito, della marina e dell’aeronautica ha comandato il paese per quasi otto anni, ha fatto sparire (un modo educato per dire assassinato) almeno 30.000 persone e ha rubato centinaia di bambini a famiglie di sinistra. Quasi tutta la mia generazione di sinistra è stata uccisa da quella dittatura.
La dittatura aveva un nome agghiacciante: il processo di riorganizzazione nazionale. Questo “processo” ha significato la sanguinosa rimozione dell’intera ala sinistra del paese, dalle persone impegnate nel sindacato a comunistÉ™ e giornalistÉ™ (tutte le opere che illustrano questa newsletter sono di pittorÉ™ e fotografÉ™ comunistÉ™ argentinÉ™, un tributo al loro talento). In una sorprendente lettera ai leader militari del paese, il giornalista Rodolfo Walsh scrisse degli omicidi di massa: “la stessa politica che discutete nelle riunioni di gabinetto, ordinate come comandanti delle tre forze militari e approvate come membri della giunta di governo”.
Quarantotto anni fa, il 25 marzo 1977, il cinquantenne Rodolfo Walsh moriva nella Scuola di Meccanica della Marina (ESMA), dove era stato portato dopo essere stato colpito ripetutamente da una squadra di soldati all’incrocio tra i viali San Juan ed Entre RÃos a Buenos Aires. Walsh aveva appena spedito diverse copie della sua lettera alla giunta quando lo hanno trovato e gli hanno sparato. Quando uno dei tiratori, Ernesto Weber, fu processato decenni dopo, disse: “Abbiamo eliminato Walsh. Il figlio di puttana si è rifugiato dietro un albero e si è difeso con una 22. Lo abbiamo riempito di proiettili e lui non cadeva, il figlio di puttana”.
Diversi anni fa, una giovane giornalista mi scrisse per chiedermi di inviarle una lista di giornalistÉ™ di cui ammiravo la scrittura. Ho scavato in un vecchio quaderno e ho trovato la lista che avevo fatto per lei. Non è molto lunga, con solo dieci nomi: Wilfred Burchett, Eduardo Galeano, Ryszard KapuÅ›ciÅ„ski, Gabriel GarcÃa Márquez, John Reed, Agnes Smedley, Edgar Snow, Helen Foster Snow, Rodolfo Walsh e Ida B. Wells. Alcuni aspetti accomunano il lavoro di questÉ™ giornalistÉ™: in primo luogo, rifiutavano la stenografia della stampa capitalista e volevano raccontare le storie del mondo dal punto di vista di operai operaie e contadinÉ™; in secondo luogo, non solo hanno descritto gli eventi, ma li hanno collocati all’interno dei grandi processi del nostro tempo; in terzo luogo, non si limitavano a scrivere, ma creavano le loro storie, il loro gusto emotivo plasmato dal loro senso di ciò che lettrici e lettori avevano bisogno di sapere; e, infine, non solo hanno scritto dal punto di vista delle persone assediate, ma hanno creduto loro e hanno scritto delle lotte del nostro mondo con sincerità e non con ironia. Burchett, australiano, fu il primo non giapponese ad entrare a Hiroshima e ad annunciare al mondo esterno gli effetti reali della bomba nucleare; Márquez, un colombiano, ha fatto a pezzi le menzogne del suo governo e ha raccontato la vera storia degli uomini del cacciatorpediniere Caldas che morirono nei Caraibi nel 1955; e Wells, dagli Stati Uniti, ha dettagliato gli orrori del linciaggio, che è diventato il modo in cui il razzismo ha continuato la struttura della schiavitù anche dopo che era stata formalmente abolita. Erano grandi scrittori con immense storie da raccontare. È difficile non ammirarli.
Tra questi scrittori c’era Walsh. Anche se l’ho conosciuto solo per il suo libro Operación Masacre (Operazione Massacro, 1957) e l’ultima lettera che scrisse prima di essere assassinato, quel libro su quell’incidente è stato sufficiente per cementare la sua reputazione.
Walsh non era intrinsecamente un uomo di sinistra. Gli piacevano gli scacchi e i puzzle. Una sera, in un caffè dove stava giocando a scacchi, Walsh sentì che c’era un sopravvissuto a un brutale omicidio alla periferia di Buenos Aires di alcuni uomini accusati di fomentare una rivolta armata contro gli ufficiali militari che avevano rovesciato il presidente Juan Perón nel 1955. Pochi giorni dopo, Walsh trovò il sopravvissuto, Juan Carlos Livraga, e ascoltò la sua storia. Questo ha cambiato tutto. Walsh era ora un giornalista dipendente da una storia.
Questa storia ebbe inizio il 9 giugno 1956, quando alcuni uomini si riunirono nel quartiere di FlorÃda per ascoltare un incontro di boxe alla radio. Non era un incontro di boxe qualsiasi. L’argentino Eduardo Jorge Lausse, che avrebbe sconfitto la leggenda cubana Kid Gavilan più tardi quell’anno, a settembre, affrontò il campione cileno dei pesi medi Humberto Loayza all’Estadio Luna Park di Buenos Aires. Quello che gli uomini che ascoltavano la radio non sapevano era che quella notte ci sarebbe stata una rivolta guidata da ufficiali militari fedeli a Perón. Non vi prendevano parte. Ciononostante, i soldati sono arrivati sulla loro strada, li hanno arrestati, li hanno portati in una discarica, hanno detto loro di scappare e poi hanno sparato contro di loro. Sette sono sopravvissuti, scappando o fingendosi morti tra la spazzatura.
Quando Walsh ricevette la soffiata, assunse la giornalista Enriqueta Muñiz (1934-2013) perché lavorasse con lui alla storia. I taccuini di Muñiz, pubblicati nel 2019 nella Historia de una investigación. Operación masacre de Rodolfo Walsh: una revolución de periodismo (y amor) (Storia di un’indagine. L’operazione massacro di Rodolfo Walsh: una rivoluzione di giornalismo e amore) descrive in dettaglio la loro ricerca metodica dei sopravvissuti e delle loro storie. Scoprirono, ad esempio, che gli arresti erano avvenuti prima che fosse dichiarato lo stato di emergenza, mentre gli omicidi dopo. Ciò significava che i militari avevano compiuto un omicidio a sangue freddo di uomini della classe operaia che non avevano nulla a che fare con gli eventi politici di quella notte ma volevano solo sentire il loro ragazzo, Lausse, mettere Loayza al tappeto.
Nessuna grande testata voleva la storia di Walsh. Così lui pubblicò una serie di articoli in una serie di piccoli periodici, come MayorÃa e Revolución Nacional, fino a quando finalmente Ediciones Sigla pubblicò Operación Masacre (che dedicò a Muñiz). Walsh e Muñiz volevano che gli uomini responsabili degli omicidi fossero arrestati, ma questo non è successo. Uno dei colpevoli, il capo della polizia, il colonnello Desiderio Fernández Suárez, è morto serenamente nel 2001.
Nel 1959, Walsh si recò a Cuba, scoprì che la rivoluzione era in fermento, incontrò il suo connazionale argentino Che Guevara e, con il suo amore per gli enigmi, decodificò i segnali statunitensi che avevano avvertito il governo cubano dell’invasione della Baia dei Porci nel 1961. A Cuba, Walsh lavorò a Prensa Latina, l’agenzia di stampa dello stato cubano, prima di entrare a far parte del comitato editoriale di Problemas del Tercer Mundo (Problemi del Terzo Mondo, gestito da dissidenti del Partito Comunista Argentino) e poi dirigere il giornale della Confederazione Generale dei Sindacati (CGT) dell’Argentina, che uscì dal maggio 1968 al febbraio 1970. Mentre lavorava alla CGT, Walsh indagò sull’omicidio di Rosendo GarcÃa il 13 maggio 1966. GarcÃa, un leader del sindacato dei metalmeccanici, fu ucciso in una sparatoria con altri sindacalisti guidati da Augusto Timoteo Vandor, che fu ucciso a colpi di arma da fuoco nel 1969. Walsh ha scritto due libri sugli omicidi che hanno definito la politica argentina: ¿Quién mató a Rosendo? (Chi ha ucciso Rosendo?, 1969), sull’uccisione di GarcÃa, e Caso Satanowsky (Il caso Satanowsky, 1973), sull’omicidio dell’avvocato Marcos Satanowsky nel 1957 da parte dei servizi segreti statali.
Nel 1969, un intervistatore chiese a Walsh delle sue idee politiche. “Ovviamente, devo dire che sono marxista», rispose Walsh, «ma un cattivo marxista perché leggo pochissimo: non ho tempo per informarmi ideologicamente. La mia cultura politica è più empirica che astratta”. Questa è stata una risposta onesta. L’istinto di Walsh propendeva per la rivoluzione cubana. Ha aderito a organizzazioni politiche, ma il suo cuore era il giornalismo. Quando l’esercito iniziò a muoversi in Argentina come parte dell’Operazione Condor del governo degli Stati Uniti, Walsh fondò la Clandestine News Agency (ANCLA) con Carlos Aznarez (che ora dirige Resumen Latinomericano) e Lila Victoria Pastoriza (che è stata torturata per due anni dalla giunta militare e ora scrive su Revista Haroldo). Quando la figlia di Walsh, MarÃa Victoria, che era impegnata nella lotta armata contro la dittatura, e Alberto Molina furono messi alle strette dall’esercito a Buenos Aires, alzarono le mani e dissero: “ustedes no nos matan; nosotros elegimos morir” (Voi non ci uccidete, noi scegliamo di morire) e si spararono. Poi Walsh tirò fuori la sua macchina da scrivere e iniziò a scrivere la sua lunga lettera alla giunta, che inviò nell’anniversario del colpo di stato. Dovrebbe essere una lettura obbligatoria per tutti e tutte.
Il tono della lettera è sia empirico che fantastico: “Nell’agosto del 1976, un residente locale che si stava immergendo nel lago San Roque a Córdoba scoprì quello che era essenzialmente un cimitero sottomarino. Si è recato alla stazione di polizia, dove non hanno registrato la sua denuncia, e ha scritto ai giornali, che non la hanno pubblicata”.
I giornali non pubblicano neanche gli omicidi e le prigioni del nostro tempo. Sono sbalorditi dagli Oscar e dalla settimana della moda di Parigi. Non hanno tempo per la follia libertaria di Milei, la distruzione delle istituzioni a beneficio dei miliardari. Se i media scrivono qualcosa, i Milei e i Trump li chiamano “nemici del popolo”, agenti di questo o quel governo.
Nel frattempo, questi mostri che indossano maschere umane frodano il loro stesso popolo in nome del nazionalismo e consegnano la loro ricchezza nazionale a una classe che non vuole più condividere il pianeta con noi. Questo è ciò che Walsh avrebbe scritto. È ciò che Walsh chiederebbe che scriviamo al suo posto.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della tredicesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.
L'articolo QUELLO CHE PRETENDEREBBE RODOLFO WALSH LO SCRIVIAMO NOI AL POSTO SUO proviene da Potere al Popolo.
L'articolo [PISA] REARM EUROPE: COME PRENDERE AL POPOLO PER DARE AI FABBRICANTI DI MORTE! proviene da Potere al Popolo.
Negli ultimi giorni abbiamo visto un preoccupante numero di casi di docenti sbattuti in prima pagina e minacciati di gravi provvedimenti disciplinari per fatti che non riguardano la loro attività professionale. Il potere politico viene utilizzato per fomentare odio verso i “cattivi maestri†e casi di nessuna rilevanza giuridica vengo portati all’attenzione della cronaca nazionale e addirittura in Parlamento.
Un intreccio letale di politici della maggioranza e stampa servile ha colpito Elena Maraga, una docente che nel suo tempo libero creava contenuti sulla piattaforma OnlyFans; Gaia Righetto, insegnante precaria di Treviso, accusata per il suo attivismo all’interno del centro sociale Django; una docente di Bologna che ha lasciato un’alunna libera di prendere in prestito dalla biblioteca il libro per ragazzi “Heartstopperâ€, caso editoriale negli USA e sceneggiatura di una serie Netflix sempre per ragazzi. A Ferrara é stata imposta una lezione “riparatoria” a una docente che aveva organizzato un incontro sui diritti umani in cui si parlava anche dei territori occupati in Cisgiordania, obbligandola ad ospitare in classe la propaganda sionista e antistorica di una rappresentante dell’Associazione “Italia-Israele”.
La caccia alle streghe non risparmia i docenti e gli studenti che propongono delle assemblee di istituto non gradite: a Mantova la Lega ha attaccato docenti e studenti di un liceo cittadino per aver organizzato un’assemblea sui quesiti referendari, a Milano è stato richiesto un contraddittorio per un’assemblea sulla violenza di genere a cui sarebbe intervenuta Non Una di Meno.
Lo scopo di questi attacchi è di creare nei docenti paura di fare attivismo, partecipare a una manifestazione o a un evento culturale caratterizzato politicamente, a scioperare, a esprimere pubblicamente le proprie opinioni e nell’opinione pubblica allarme per una classe di “cattivi maestri†che travia i ragazzi. Questo allarme serve a giustificare proposte di codici etici lesivi dei diritti costituzionali dei docenti e della loro libertà .
È un vero e proprio ritorno alla gestione della scuola pubblica degli anni Cinquanta e Sessanta, che non aveva fatto i conti con il passato fascista, lasciando al loro posto tantissimi provveditori, dirigenti e docenti conniventi con il regime. Prima che il Sessantotto imponesse al Governo democristiano di applicare pienamente l’art.33 della Costituzione sulla libertà di insegnamento, emanando i Decreti Delegati del 1974, provveditori e dirigenti avevano a disposizione le cosiddette “note di qualifica” per sanzionare condotte civili e morali non consone (quindi esterne all’ambito professionale). Nell’Italia cattolica dove il prete e dunque anche il preside sapevano tutto di tutti, le note di qualifica erano uno strumento formidabile di controllo politico dei docenti, che infatti erano definiti “le vestali della classe media” per la loro mansuetudine rispetto agli operai.
Sappiamo bene che la repressione nei confronti di insegnanti politicizzati o di iniziative ritenute non neutrali non è un fenomeno nuovo, e anzi è una costante degli ultimi Governi, e si inserisce nella risposta autoritaria che le élites neoliberali stanno dando alla crisi del capitalismo. Pensiamo a Lavinia Flavia Cassaro, docente torinese di cui Renzi chiese il licenziamento in diretta perché aveva partecipato a una manifestazione No Tav, o a Rosa Maria Dell’Aria, perseguitata dal Governo Conte I per non aver “vigilato” sul lavoro di alcuni suoi studenti che, per la giornata della Memoria, avevano presentato un video nel quale accostavano le leggi razziali del 1938 alle misure contenute nel “Decreto sicurezza”.
L’attuale governo Meloni si trova dunque la strada spianata nell’assegnare un ruolo di disciplinamento delle nuove generazioni alla scuola. In questa visione non c’è spazio per la naturale diversità di opinioni politiche ed esperienze che caratterizza i singoli docenti, né per la collegialità e la democrazia a scuola. In questo senso vanno le norme repressive contenute nel Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici.
Non dimentichiamo inoltre l’assurda circolare che vieta l’uso di asterischi e schwa nelle comunicazioni ufficiali delle scuole: un “problema”, ammesso che lo fosse, totalmente inventato, dal momento che non si registrano testimonianze del loro uso nelle circolari.
Siamo di fronte ad attacchi pretestuosi e campati in aria, che hanno come obiettivo quello di far digerire all’opinione pubblica l’imminente presentazione di un “codice etico” per il personale docente (che sarà un forte strumento repressivo della libertà d’insegnamento), con lo spiacevole effetto collaterale di “sbattere il mostro in prima pagina”, garantendo al personale docente coinvolto gogna mediatica nel migliore dei casi, accompagnata da sanzioni disciplinari anche gravi.
Non possiamo più permetterci, dunque, come categoria di non occuparci di politica. Non possiamo presupporre che i cambiamenti veloci in atto non ci tocchino nel quotidiano. Non lasciamo soli i colleghi sotto attacco. Invitiamo a far circolare la petizione nelle storie. Uniamoci, organizziamoci, difendiamo e facciamo vivere gli organi collegiali, le rappresentanze sindacali interne e la nostra libertà di parola e di insegnamento.
Organizziamo il futuro. Aderisci a Potere al popolo!
L'articolo IL GOVERNO MELONI VUOLE ABOLIRE LA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO. DALLA PARTE DI GAIA RIGHETTO proviene da Potere al Popolo.
Potere al Popolo condanna fermamente l’episodio di repressione subito dal giornalista Gabriele Carchidi, fermato e trattato brutalmente dalle forze di polizia a Cosenza, solo per aver rifiutato l’identificazione. Questo non è un singolo episodio isolato, ma l’ennesima manifestazione di una deriva autoritaria che sta cercando di stringere nella morsa della repressione l’intera società , in un clima di guerra e irreggimentazione crescente.
In questo contesto, l’introduzione di misure legislative come il DDL 1660 rappresenta una minaccia concreta alla nostra democrazia. Il disegno di legge prevede, tra le altre cose, un ampliamento dei poteri delle forze dell’ordine, rendendole invulnerabili a qualsiasi controllo democratico e concedendo loro una maggiore impunità . Questo disegno di legge non è solo un passo verso l’autoritarismo, ma un attacco frontale alle conquiste democratiche e ai diritti fondamentali dei cittadini.
Potere al Popolo denuncia con forza questa deriva autoritaria, ribadendo che la vera emergenza non è la sicurezza imposta dallo Stato, ma la sicurezza dei diritti sociali: la sicurezza sul posto di lavoro, con 1.200 morti all’anno, la sicurezza abitativa, il diritto a una sanità e una scuola pubbliche, l’emergenza del caro-bollette e la precarietà crescente.
Non abbiamo bisogno di sceriffi in divisa, non abbiamo bisogno della spettacolarizzazione della “sicurezza”. Questa non è la nostra sicurezza, ma quella di un governo che vuole poter decidere senza opposizione, soffocando ogni possibilità di resistenza sociale. È il momento di opporsi alla militarizzazione del territorio e all’inasprimento delle pene, che non rispondono alle vere necessità dei cittadini. La libertà di espressione, di protesta e di critica deve essere difesa con forza!
L'articolo [CALABRIA] POTERE AL POPOLO CONDANNA FERMAMENTE L’EPISODIO DI REPRESSIONE CHE HA COINVOLTO IL GIORNALISTA GABRIELE CARCHIDI, FERMATO E TRATTATO BRUTALMENTE DALLE FORZE DI POLIZIA A COSENZA SOLO PER AVER RIFIUTATO L’IDENTIFICAZIONE. proviene da Potere al Popolo.
600 militanti in Assemblea nazionale, diverse migliaia in piazza Barberini e poi per le strade del centro storico di Roma. La giornata di ieri ci ha restituito un’immagine complessa e al tempo stesso più nitida del nostro paese, che non è quella che ci racconta ogni giorno il potere mediatico.
Il nostro 15 marzo, lontano dai riflettori di Repubblica a Piazza del popolo, è iniziato al Teatro Quirino, dove abbiamo rilanciato il nostro nuovo programma e la nostra piattaforma politica (trovate la diretta sulle nostre pagine e sul canale youtube di Pap). Successivamente ci siamo spostati in piazza Barberini, dove, insieme a oltre 100 associazioni e organizzazioni aderenti, abbiamo dapprima riempito la piazza e poi siamo partiti in corteo.
Di fronte a un’Unione Europea e a un Governo Meloni che vota a favore del Rearm Europe, bisognava dare una risposta netta. 800 miliardi in armi sono pura follia, quando solo ieri l’inondazione in Toscana e la crisi bradisismica a Pozzuoli e Bagnoli ci mostravano tutta la fragilità del nostro territorio e la necessità di investire nella sua cura. Per questo ci siamo opposti fermamente alla piazza di Michele Serra, in cui trovavano spazio posizioni pro-riarmo. Si trattava di un’operazione ambigua e opaca, nei fatti un tacito appoggio a Von Der Leyen, come ambiguo e opaco è stato il comportamento del Pd all’Europarlamento, che si è diviso tra astenuti e favorevoli alla nuova politica di riarmo della maggioranza Ursula e di Giorgia Meloni.
Chi è sceso in piazza Barberini invece lo ha fatto su posizioni chiare. Per la Pace, per l’uscita immediata dalla Nato, contro il Rearm Europe ma anche contro l’idea di Difesa comune europea, che altro non significherebbe se non la costruzione (impossibile nell’attuale asseto UE) di un imperialismo continentale. Per spendere subito quelle risorse come salario indiretto in servizi pubblici, in sicurezza sul lavoro, in pensioni, politiche industriali per risolvere la crisi climatica e sociale, e per costruire un’Europa ponte di pace e solidarietà .
Vorrebbero rappresentare l’Italia divisa in due blocchi, quello (finto) sovranista dei Salvini e degli Elon Musk, sottomesso agli USA, e quello degli europeisti liberali con l’elmetto delle Schlein. Esiste in realtà un terzo blocco, che è represso mediaticamente, ma che ieri si è palesato potentemente in piazza Barberini. Il blocco popolare, costituito da organizzazioni politiche, giovanili, dai sindacati conflittuali, dalle organizzazioni migranti che lottano contro lo sfruttamento e per l’unità dei diritti. Un blocco che vuole dare rappresentanza alla maggioranza che crea la ricchezza di questo paese, che vuole un’Italia e un’Europa di pace e solidarietà , di giustizia climatica e sociale, che ieri al Teatro Quirino ha dimostrato di avere un programma, rapporti internazionali e un’organizzazione politica su cui innestarsi.
Il nostro obiettivo ora è quello di allargare questo fronte in una grande manifestazione a maggio che si opponga all’economia di Guerra e porti avanti gli interessi della nostra gente.
Smettiamola di pensare che non esista alternativa. Organizziamo il futuro.
L'articolo LA VERA NOTIZIA DI OGGI SIAMO NOI: MIGLIAIA IN PIAZZA PER LA PACE E CONTRO LE POLITICHE DI RIARMO DELL’UE proviene da Potere al Popolo.
Convegno al Nuovo Cinema Aquila – Roma
Domenica 6 aprile – ore 10
L’anno del Giubileo, e l’arrivo dei fondi del PNRR, rappresentano per Roma uno spartiacque per profonde trasformazioni politiche economiche e sociali. Il modello della giunta Gualtieri, il “modello Giubileo” condiviso tra Comune, Governo e Regione, si sta rivelando sempre più un accentramento di poteri volto a eliminare qualsiasi strumento di vero opposizione al trasferimento di ricchezza, suoli e risorse da parte di chi abita e lavora in città verso interventi privatistici.
Questi ultimi, nelle stesse parole di chi amministra, sono vocati a rendere Roma attrattiva per investitori e popolazioni cosidette altospendenti. Per chi invece fatica a permettersi di vivere dentro la città , o non vuole piegarsi alle logiche del profitto, vengono predisposte misure securitarie sempre più concentriche, invasive e sperimentali, dalla sorveglianza sempre più asfissiante alle zone rosse, passando per il modello Caivano e la crescente militarizzazione degli spazi una volta considerati pubblici.
La normalizzazione della governance commissariale non sta trovando nessuna vera opposizione nell’assemblea capitolina, anzi impegnata in un intenso dialogo bipartisan su come gestire le ingenti risorse economiche del Giubileo, i 100 milioni di cubature in atterraggio nell’area metropolitana, e la proposta di modifica costituzionale per poter conferire poteri differenziati a Roma Capitale su diverse materie strategiche (incluse trasporti e rifiuti), realizzando quindi uno specifico processo di autonomia differenziata.
Pertanto, mentre vediamo una città sempre più in ginocchio per la mancanza di diritto all’abitare, per servizi diminuiti e fatiscenti, per il lavoro sempre più precario e sottoqualificato, dall’altro lato abbiamo un’amministrazione che sceglie di investire su grandi opere impattanti, come l’inceneritore e lo stadio della Roma, di continuare la cementificazione, di avvantaggiare investitori sempre più multinazionali con speculazioni e privatizzazioni, a scapito della maggioranza delle persone che vivono e lavorano in città .
Di fronte alle importantissime mobilitazioni e alle tante realtà che lottano e si oppongono a questo modello, crediamo che sia importante come Potere al Popolo mettere a disposizione uno spazio di discussione e di approfondimento per confrontarci su questo, consapevoli della necessità di dare corpo ad un’alternativa che sia autonoma e indipendente a questo sistema di potere.
Con questo intento organizzeremo una giornata di confronto e discussione pubblica per domenica 6 aprile a Roma al Nuovo Cinema Aquila, a partire dalla mattina alle 10, articolato in quattro sessioni: “Gestione della città , crisi democratica e controllo sociale”, “Trasformazione urbana e cementificazione”, “Servizi pubblici e privatizzazioni” e “Rifiuti”.
L'articolo [ROMA] CONTRO IL MODELLO GIUBILEO, PER LA CITTA’ PUBBLICA proviene da Potere al Popolo.
Dal 27 al 31 Agosto torna il PAP CAMP, ormai alla sua settima edizione!
Siamo a metà Marzo, in questi giorni fa freddo, il lavoro è tanto e le vacanze sembrano lontanissime.
Ma non ti preoccupare, noi stiamo già organizzando la nuova edizione del Pap Camp!
Cosa c’è di meglio di cinque giorni di mare, collettività , dibattiti, attività culturali, musica e teatro?
★ DOVE E QUANDO? ★
Il Pap Camp 2025 si terrà dal 27 al 31 agosto.
Puoi arrivare dalla mattina del 27 agosto lasciando il campeggio entro la sera del 31 agosto.
Saremo ospiti del camping “La Giaraâ€, che l’anno scorso ci ha accolto e coccolato. Per chi non c’è stato, è a pochi passi dal mare e poco distante dal parco archeologico di Paestum, in località Licinella – Torre di Paestum (SA).
Stiamo già lavorando per tutta l’organizzazione e nelle prossime settimane apriremo le iscrizioni e annunceremo tutti i dettagli e le novità di questa edizione…che non saranno poche!
Ma intanto, sai già le date!
Segnale e non prendere altri impegni!
STAY TUNED
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