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LA LEGGE DI BILANCIO NON RILANCERÀ IL SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO
Data articolo:Wed, 20 Nov 2024 07:51:41 +0000

Le chiacchiere di Meloni & Co. stanno a zero, la verità è che i fondi stanziati non solo sono in riduzione rispetto al PIL, ma la percentuale di PIL destinata alla sanità rappresenta un arretramento rispetto alla spesa storica (inferiore a quanto spendevamo nel 2010!). Questi fondi non consentono un investimento sulle nuove assunzioni. I nuovi contratti di lavoro del personale sanitario non saranno adeguati all’inflazione, determinando perdita del potere di acquisto.

All’orizzonte non c’è alcun miglioramento delle condizioni di lavoro né tantomeno quello – necessario – dei servizi per soddisfare il bisogno di salute di cittadine e cittadini.

Il servizio sanitario è l’anticorpo collettivo che protegge e dà sicurezza a tutte e tutti noi. È quindi normale che di fronte a quest’ennesimo sfregio, nasca la protesta. Perché serve battersi per più investimenti nella sanità pubblica – e non per regalare denaro pubblico a imprese private che lucrano sulla nostra salute.

Nella piattaforma dello sciopero in programma il 20 novembre, quello che la stampa sta presentando come l’unico sciopero della sanità, accanto a rivendicazioni condivisibili, c’è un’idea pericolosa: svincolare medici e infermieri dalla dipendenza pubblica. Una richiesta non nuova: anche i sindacati di maggioranza dei medici di medicina generale (MMG) hanno sempre combattuto l’ipotesi della dipendenza, per mantenere un orario di lavoro più flessibile, stipendi più alti, ma rinunciando a molte garanzie (malattie, ferie maternità).

Trasformare in liberi professionisti i medici attualmente dipendenti ridurrebbe le tutele dei lavoratori e aprirebbe nuovi e ancor più gravi problemi per la collettività: medici e infermieri sarebbero prestatori d’opera, non più parte di un servizio, si sposterebbero in base alla convenienza, senza assicurare più la continuità delle prestazioni. Questa trasformazione favorirebbe, inoltre, un’ulteriore migrazione di professionisti e professioniste sanitari verso la sanità privata e convenzionata, ad enorme discapito di quella pubblica e della collettività.

Nemmeno si può seguire ANAAO quando contesta al Governo Meloni di non aver detassato l’indennità di specificità. La detassazione degli stipendi, come vediamo anche per il taglio del cuneo fiscale, è una partita di giro che fa apparire qualche soldo in più in busta paga stornando però sempre risorse dalla fiscalità generale – significa che quei soldi sono sempre soldi dei lavoratori – e senza incrementare la massa salariale.

La battaglia accanto a chi ci rende tutt’ora orgogliosi del servizio sanitario nazionale non può assecondare un approccio corporativo.  Per rilanciare il servizio serve invece una massiva reinternalizzazione con passaggio alla dipendenza pubblica anche dei MMG e dei pediatri di libera scelta. Servono piani assunzionali per infermieri, medici, OSS, tecnici, e per tutti i professionisti sanitari. Assumere però non basta. Serve alzare gli stipendi, ma – più ancora – migliorarla qualità del loro lavoro, permettendo ritmi umani, carichi di lavoro sostenibili.

Serve restituire dignità professionale e voce in capitolo ai lavoratori e le lavoratrici della salute. Per fermare violenze e aggressioni ai loro danni, più che presidi di polizia in ogni reparto, serve che potere politico e mediatico la smettano di dipingerli come fannulloni, superficiali, veniali e incapaci. E, soprattutto, che la si smetta con un attacco interessato al pubblico e ai suoi lavoratori per favorire l’allargamento della fetta di torta che già oggi i privati si pappano.

Il denaro pubblico, frutto delle tasse di lavoratori e lavoratrici, deve finanziare la sanità pubblica, i suoi servizi e le sue strutture: da riaprire, da potenziare, da adeguare e da creare se mancanti; non deve ingrossare i portafogli dei ras della sanità privata che siedono anche tra i banchi del Parlamento e del Governo Meloni.

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LE DICHIARAZIONI DI VALDITARA ALLA FONDAZIONE GIULIA CECCHETTIN SONO INACCETTABILI. DIMISSIONI SUBITO!
Data articolo:Wed, 20 Nov 2024 07:47:11 +0000

Il 18 Novembre scorso, in un videomessaggio inviato all’inaugurazione della Fondazione intitolata a Giulia Cecchettin, uccisa dal suo ex, Filippo Turetta, lo scorso anno, Valditara ha fatto delle affermazioni che meritano di essere attentamente analizzate e che valgono, da sole, la richiesta di dimissioni immediate.

Il Ministro dell’Istruzione ha affermato che il patriarcato non esiste più, essendo abolito dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, e che non é tollerabile far finta di non vedere – citiamo – “che l’incremento di fenomeni di violenza sessuale é legato anche a forme di marginalità e devianza, in qualche modo discendenti da immigrazione illegaleâ€.

Gli argomenti dunque sono tre:

Il patriarcato non esiste, essendo stato abolito per legge 49 anni fa. Potremmo quindi arguire, applicando lo stesso ragionamento, che le disuguaglianze nel nostro paese non esistono dal 1948 dato che, secondo l’art. 3 della Costituzione, la Repubblica rimuove gli ostacoli che limitano l’uguaglianza. É sottintesa un’idea talmente rozza del legame tra realtà normativa e realtà fattuale da chiedersi se colui che ha esposto questa argomentazione sia lo stesso Valditara ordinario di Diritto Romano, ma evidentemente questi sono tempi per cui alle ragioni della bassa politica soccombe anche un principio elementare di correttezza scientifica.

L’incremento di fenomeni di violenza sessuale é legato anche a forme di marginalità e devianza. Il report diffuso dal Ministero dell’Interno lo scorso 17 Novembre (https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2024-11/report_settimanale_al_17_novembre_2024.pdf), sulla relazione tra omicidi, genere della vittima e relazione con l’assassino, documenta come, benché in calo, circa il 30% degli omicidi commessi da inizio anno ha avuto come vittima una donna (98 su 269); se si limita il calcolo ai soli omicidi commessi in ambito familiare, le donne diventano immediatamente la maggioranza delle vittime (87 su 129); di queste, 58 sono state uccise da partner o ex partner, ben oltre la metà delle vittime femminili totali. Di fronte a questi dati, porre l’accento su marginalità e devianza (fenomeni, sia chiaro, esistenti) vuol dire semplicemente voler occultare il dato statistico che dice, incontrovertibilmente, che la maggior parte delle volte gli assassini di donne sono in famiglia, o ne hanno fatto parte. Oltretutto, in un quadro complessivo che vede, per fortuna, il numero totale degli omicidi in caldo da anni ( ma più o meno costante se si considerano solo le donne uccise), insistere su marginalità e devianza é, oltre che falso, in malafede.

Marginalità e devianza discendono, in qualche modo, dall’immigrazione illegale. Capolavoro. Dopo aver affermato che per cancellare un fenomeno sociale basta abolirlo per legge; dopo aver coperto, retoricamente, gli assassini in famiglia, puntando il dito su marginalità e devianza che sono invece cause secondarie, ecco arrivare il nemico da dare in pasto alla folla: i clandestini. Che sono pochissimi in proporzione alla totalità dei flussi migratori (il 93,9% dei femminicidi sono commessi da italiani), quindi ancora una volta statisticamente impossibilitati ad essere la causa principale dei femminicidi, come emerge invece dal discorso di Valditara (anche volendo prendere per buona la sua correlazione infondata e razzista).

Non si tratta però, purtroppo, dei deliri di un anziano in un bar, ma dei discorsi preparati a tavolino dal Ministro dell’Istruzione di uno dei più grandi paesi occidentali. Un discorso studiato attentamente, nonostante le apparenze, perché nelle argomentazioni – malamente poste – rivela un orientamento e un obiettivo pratico: quello di cooptare una certa parte del femminismo occidentale in un discorso razzista per cui, nelle nostre società ormai libere dal patriarcato – perché superiori culturalmente, é il sottotesto – il vulnus della violenza sulle donne verrebbe da fuori, dagli immigrati. É la retorica classica della destra nordeuropea che cerca, in questo modo, di presentarsi come liberale, “femministaâ€, liberata da quel carico pesante di violenza machista che storicamente porta con sé, alleata dei sinceri democratici contro la violenza “esternaâ€, degli stranieri, dei “diversi da noiâ€.

Siamo di fronte ad un discorso lucido e pericoloso, anche perché ignora e nasconde, volutamente, l’emergenza educativa nazionale sull’argomento: quella per cui, come emerge da una recente inchiesta online tra l3 adolescenti (LINK), ragazze e ragazzi fanno fatica a riconoscere una forma di violenza nei baci e nel contatto fisico senza consenso, nel controllo della rubrica, dei messaggi, del telefono, dell’abbigliamento, delle relazioni del/la partner, nell’invio ripetuto e ossessivo di messaggi e tentativi di chiamate, nei ricatti sentimentali, fino alle percosse fisiche e ai rapporti sessuali completi senza consenso. Una vera e propria catastrofe educativa che si porrebbe come priorità agli occhi di decisori politici di buon senso e che, invece, é cancellata dall’attuale Ministro.

Evidenziamo che cancellare vuol dire consentire che si perpetui questa situazione, e quindi consentire il ripetersi di violenze fisiche e morali e di femminicidi. Non un’emergenza da contrastare, ma un elemento per fare propaganda ideologica contro lo straniero, l’estraneo, l’altro da noi.

La gravità delle affermazioni del Ministro supera, quindi, di gran lunga l’inconsistenza e la fallacia logica delle argomentazioni: é per questo che riteniamo urgente e necessario che rassegni le sue dimissioni, perché non riteniamo accettabile che la scuola continui ad essere guidata da una persona che ha dato ampia dimostrazione di incompetenza e pericolosità.

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[LUCCA] QUALI STRATEGIE MESSE IN CAMPO PER DIFENDERE GLI ABITANTI DAL CARO-VITA E CARO-AFFITTI?
Data articolo:Tue, 19 Nov 2024 09:38:18 +0000

Piana di Lucca territorio con maggiore crescita turistica in Toscana rispetto all’anno precedente: Pardini esulta di fronte a questa conquista ed afferma che è perfettamente coerente con la quotidianità e le abitudini dei residenti. Dice poi, insieme al suo compare Remo Santini, che finalmente Lucca compete con Firenze, e che il turismo di Lucca è sostenibile e vicino alla comunità locale.

Peccato che la comunità locale, a parte pochi residenti proprietari, sia sempre più spinta a traslocare fuori le Mura, e che diventi quasi impossibile per chi ha un reddito medio-basso passare una serata in città. Lasciando da parte per un momento il proliferare di affitti brevi durante il Lucca Comics che costringono gli affittuari a lasciare la propria abitazione per quei cinque giorni, il trend generale segue la strada che Firenze, questo sì, caro Pardini, ha intrapreso già da tempo: quella della turistificazione selvaggia, senza strategie che permettano a Lucca di rimanere una città e non un parco giochi precluso a chi il territorio lo vive ogni giorno: dalle famiglie, agli anziani che a Lucca ci sono nati, ai giovani che si trovano a lottare per realizzare un mezzo concerto perché non ci sono spazi di aggregazione.

Nell’agosto 2024 Demoskopika aveva già lanciato l’allarme sul rischio moderato di overturism che Lucca corre e di cui Pardini tanto si allieta. Dove sono le strategie per evitare il proliferare degli affitti brevi a danno delle residenze? Dove le strategie per combattere il lavoro nero e grigio che nel settore turistico ha percentuali così alte? Dove un trasporto pubblico sostenibile e una mobilità dolce per evitare il sovraffollamento e il consumo di suolo per fare parcheggi? Dove l’investimento, prima di tutto sui lavoratori della cultura, per poi proporre un turismo culturale di qualità?

Eppure i suggerimenti da cui prendere spunto non mancano. Si rivedano i canoni di concessione degli immobili e del sottosuolo comunale e si orientino i ricavi della tassa di soggiorno alla tutela del diritto alla casa, per implementare i servizi e la vivibilità, piuttosto che sprecare risorse in mega eventi che non portano il guadagno sperato (200.000 euro per Lucca Magico Natale).

Firenze, ad esempio, ha già intrapreso la via del blocco delle licenze per le case ai turisti e Nardella sicuramente non è un comunista.

Si modifichi il regolamento comunale e si subordini la concessione del suolo pubblico di ristoranti e bar al rispetto dei contratti di lavoro e si aumentino i controlli in questo senso. Si smetta di spingere sugli Assi Viari e si dia il via a una vera rivoluzione della mobilità per rendere il centro realmente fruibile per tutta la popolazione di Lucca. Si internalizzi il settore cultura e si smetta di appaltare i servizi turistici a cooperative che notoriamente inquadrano i dipendenti in contratti da fame.

Tutto questo lo sappiamo non è mai stato realizzato prima dal centrosinistra – che pure dovrebbe iniziare a ragionare sull’argomento, visto che il processo riguarda tutta la Piana – e non sarà sicuramente realizzato da Pardini. La destra sociale, come si vede, di sociale non ha niente.

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[PISA] SALVIAMO IL PARCO E ROMPIAMO IL SISTEMA BANI!
Data articolo:Tue, 19 Nov 2024 09:34:38 +0000

Anche chi è stato tra i fautori dell’istituzione del Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli, l’urbanista Cervellati, prende posizione per le dimissioni di Lorenzo Bani, nominato proprio da Giani alla presidenza dell’Ente Parco.

Non possiamo che condividere una posizione che rivendichiamo da anni insieme al Movimento No Base con cui condividiamo una campagna di raccolte firme a cui hanno già aderito migliaia di persone.

E’ sempre più evidente quanto sulla gestione del Parco da parte del Partito Democratico, in totale complicità con il governo nazionale, sia votata al suo progressivo sacrificio per lo sviluppo bellico o delle grandi imprese private, come quelle della cantieristica navale di lusso.

Il prossimo 17 dicembre saremo alla Regione Toscana, in mobilitazione con il movimento no base e consegnare le firme per le dimissioni di Bani, per dire ancora una volta no alla costruzione, ovunque essa sia, della nuova base militare da 520milioni di euro.

Invitiamo tutti e tutti a firmare la petizione a questo link: https://www.change.org/p/salviamo-il-parco-di-san-rossore-pisa-dalla-base-militare-rompiamo-il-sistema-bani.

Continuiamo a lottare per costruire l’alternativa al partito unico della guerra, del cemento e degli affari!

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DOPO 40 ANNI IL PIÙ LONGEVO PRIGIONIERO POLITICO EUROPEO, GEORGES ABDALLAH SARÀ (FORSE) LIBERO.
Data articolo:Sun, 17 Nov 2024 17:08:09 +0000

Chi è Georges Abdallah?
Georges è un libanese, nato nel 1951 da una famiglia cristiano maronita.
Nel 1971, come tante e tanti della sua età, diventa un rivoluzionario e un combattente per la libertà e aderisce al Fronte popolare di Liberazione della Palestina. Da internazionalista riconosce infatti nella lotta contro il colonialismo Israeliano, per la liberazione e l’autodeterminazione del popolo palestinese, un momento della lotta più ampia per l’emancipazione dell’uomo dalla guerra imperialista e dallo sfruttamento.

Assiste nel 1978 alla prima invasione israeliana del Libano, ai tentativi di destabilizzazione del paese volti a terrorizzare i rifugiati arabo-palestinesi, e alla seconda, sanguinosissima invasione del 1982, che provoca decine di migliaia di vittime, principalmente palestinesi e libanesi, e la carneficina di Sabra e Shatila commessa dai falangisti cristiano maroniti con la complicità attiva di Israele, definita dall’Onu “un atto di genocidio”.

La preponderanza del nemico sul piano militare, dovuta all’appoggio internazionale di cui gode, lo convince già nel 1979 a fondare la Frazione armata rivoluzionaria libanese (FARL), il cui scopo è colpire il nemico dovunque si trovi. Le FARL agiscono all’esterno del Libano e puntano a colpire gli interessi israeliani all’estero e a reciderne la catena di complicità, rifiutando di colpire obiettivi civili, ma limitandosi a delle azioni rivolte contro obiettivi militari.

Conformemente ai loro scopi, le Farl nel 1982 uccidono Charles R. Ray, funzionario militare di stanza a Parigi, e Yacov Barsimantov, secondo consigliere presso l’ambasciata israeliana a Parigi. Tentano inoltre altre tre esecuzioni, che falliscono.

Il 24 ottobre 1984 Georges Abdallah viene arrestato a Lione, e condannato inizialmente per possesso di falsi documenti. La sua sorte giudiziaria viene però segnata da fortissime pressioni statunitensi e israeliane perché non esca di prigione. Un tentativo di scambio di prigionieri fallisce poiché Abdallah viene accusato di aver ucciso Ray e Barsimantov sulla base di prove probabilmente “cucinate” dai servizi segreti francesi. Abdallah infatti afferma di non aver partecipato personalmente all’azione, pur condividendola.

Iniziano tentativi di depistaggio che coinvolgono l’avvocato di Abdallah, che lo tradisce essendo al soldo dei servizi segreti francesi, e che portano nel 1987 a una condanna all’ergastolo per l’assassinio di Ray e Barsimantov. Una condanna evidentemente politica, visto che l’accusa chiede solo 10 anni a causa delle fragilissime prove a suo carico e visto il suo statuto di prigioniero politico appartenente a una forza di Resistenza armata. Sono però le pressioni statunitensi sul governo francese a tenerlo dentro.

L’ergastolo in Francia è però emendabile: ogni 15 anni i prigionieri possono fare domanda di liberazione sulla base di una serie di criteri di buona condotta. Abdallah inizia nel 1999 vedendo inizialmente le sue domande rigettate. Ciò è dovuto in parte al fatto che Abdallah non demorde e continua la sua lotta al fianco del popolo palestinese e libanese anche in galera, scrivendo dei comunicati, non abiurando mai alla causa e diventando così rapidamente un caso mediatico. Le pressioni dei movimenti di solidarietà internazionalista e dello stesso governo libanese per la sua liberazione però non si affievoliscono.

Nel 2012, il Tribunale competente decide per la sua liberazione. Tuttavia la Corte d’appello, alla quale si è rivolto il Governo, pur confermando la sentenza, richiede che per eseguirla venga emesso un decreto di espulsione di Abdallah dalla Francia. Cosa che però il Primo ministro socialista Valls non farà mai, costringendo così Abdallah in galera.

Il motivo dell’aggiramento scandaloso delle decisioni del tribunale sono ancora una volta le pressioni degli USA. Wikileaks, nel 2016, riesce infatti a desecretare diverse mail riservate di Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato di Obama, che fanno pressioni sul Governo francese perché Adballah, anche contro la decisione dei giudici, rimanga in galera.

Il 15 novembre 2024 il Tribunale competente ha dichiarato Abdallah liberabile: dovrà lasciare il territorio francese, ma non è necessario alcun decreto di espulsione. Il suo nuovo avvocato, Jean-Louis Chalanset, parla di “vittoria giuridica e politica”, ma dobbiamo aspettarci pressioni di Macron, degli USA e di Israele, perché Abdallah non torni mai a casa sua o peggio venga ucciso dalla CIA o dal Mossad, lontano dalle telecamere.

Per questo vogliamo tenere alta l’attenzione sul suo caso. Abdallah deve essere liberato!

Per approfondire consigliamo la visione del documentario “Fedayin, le combat de Georges Abdallah”, a cura del Colectif Vacarme(s), disponibile su youtube.

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SERVE UN’UNICA MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER LA PALESTINA! SIAMO TUTTI D’ACCORDO, MA FACCIAMOLO
Data articolo:Sun, 17 Nov 2024 16:24:35 +0000

Come tante e tanti abbiamo letto la lettera aperta di Udap e Gpi alle realtà palestinesi dal titolo “è utile alla Palestina che il 30 novembre ci saranno due manifestazioni nazionali per la Palestina a Roma?”.

Quella posta è ovviamente una domanda retorica a cui non ci può essere altra risposta che No.

Come Potere al Popolo riteniamo infatti fondamentale mantenere il carattere unitario delle mobilitazioni in sostegno alla Palestina e alla sua Resistenza, tanto più in un momento come questo in cui l’aggressione sionista si estende al resto della regione portandoci verso un possibile scontro bellico internazionale.

Di fronte a un genocidio l’unità è un dovere politico, etico e morale, e nell’ultimo anno non ci siamo limitati ad enunciarla ma l’abbiamo praticata. Per questo motivo siamo state tra le poche realtà a partecipare sia alla piazza del 5 ottobre che a quella del 12 ottobre nonostante ciò comportasse uno sforzo organizzativo non indifferente.

L’abbiamo fatto proprio per dare forza ad entrambe le date a prescindere da chi le avesse convocate, per saldare simbolicamente le due manifestazioni e sottolineare l’esigenza di un fronte unico capace di avere un carattere potenzialmente di massa e quindi di incidere.

Sappiamo tutte e tutti che se Israele può continuare a massacrare a Gaza, in Cisgiordania e in Libano, se può minacciare l’intero Medio Oriente, è perché ha solidi alleati internazionali, tra questi il nostro paese. Essendo noi in Italia è nostro dovere rendere quanto più efficace possibile l’opposizione al Governo nella sua complicità con il genocidio, mettendo in discussione in primo luogo la sua copertura politica e diplomatica e la sua collaborazione economica e militare con Israele.

Per questo, con lo stesso spirito unitario, abbiamo partecipato all’assemblea nazionale del 9 novembre al cinema Aquila a cui hanno aderito diverse realtà palestinesi e libanesi e più di 250 organizzazioni e associazioni italiane.

Un’iniziativa che a più di un anno di distanza dal 7 ottobre si proponeva di far fare un passo in avanti al Movimento in sostegno alla Palestina.

Crediamo, infatti, sia necessario, per allargare le mobilitazioni, strutturare un luogo a livello nazionale dove palestinesi e solidali italiani possano confrontarsi al fine di ottimizzare il proprio intervento e risultare più efficaci. A nostro avviso è necessario andare oltre la giusta e sacrosanta reazione spontanea alla barbarie sionista che ha caratterizzato quest’ anno, oltre la dinamica della chiamata social alla mobilitazione ma incardinarci in un percorso condiviso, l’unico in grado di rilanciare la lotta per la liberazione della Palestina e valorizzare quanto di buono è stato fatto fino ad ora.

L’assemblea del 9 ha prodotto una Piattaforma di chiamata per la manifestazione del 30 novembre che, a nostro avviso, è assolutamemte radicale nei contenuti, ma allo stesso tempo inclusiva e capace di allargare il fronte.

Registriamo purtroppo che Udap e Gpi sono legittimamente di altro avviso, però pensiamo che a questo punto sia utile, al fine di trovare una possibile sintesi e scongiurare le due piazze, esplicitare in modo franco quali sono nel dettaglio i punti critici della piattaforma prodotta dall’assemblea del 9 novembre, sottoscritta da diverse realtà palestinesi e libanesi e da numerose realtà italiane.

Forse pecchiamo di ottimismo, ma siamo assolutamente convinti che sia ancora possibile trovare una convergenza. Per quel che possiamo, nelle prossime settimane, lavoreremo con questo obiettivo.

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AUTONOMIA DIFFERENZIATA: NON È IL TEMPO DI FESTEGGIARE, MA DI CONTINUARE A LOTTARE!
Data articolo:Fri, 15 Nov 2024 14:41:43 +0000

Autonomia Differenziata: una decisione che lascia più problemi che soluzioni

La Corte Costituzionale ha deciso: la legge Calderoli sull’autonomia differenziata è sostanzialmente costituzionale, con qualche aggiusto. Alcuni degli aspetti più gravi, quelli che avrebbero trasformato il Parlamento in uno spettatore silenzioso o reso possibile la delega di interi blocchi di materie invece che singole funzioni, sono stati smontati. Tuttavia, il cuore del problema resta intatto, e con esso la minaccia di una disgregazione della Repubblica

Un colpo per il governo, ma anche per le opposizioni
Questa decisione è una doccia fredda per tutti. Per il governo, che vede svuotato un progetto simbolo della sua agenda, con i suoi punti caratterizzanti dichiarati incostituzionali. Ma anche per le opposizioni, che sembrano già pronte a cantare vittoria. Perché? Perché molte di loro non sono contro ogni forma di autonomia differenziata, ma solo contro la legge Calderoli. Sembra siano pronte ad accontentarsi e fermarsi qui, con il lavoro a metà.

La posta in gioco è altissima
Per noi, che invece ci battiamo contro OGNI FORMA di autonomia differenziata, questa sentenza non è motivo di celebrazione. Al contrario, è l’ennesima dimostrazione di come l’unità del Paese venga sacrificata in nome di un individualismo regionale che allarga la forbice delle disuguaglianze territoriali. La riforma costituzionale del 2001 rimane il cuore del problema, con le modifiche all’art. 116 e l’introduzione del principio di sussidiarietà, ha aperto la strada e istituzionalizzato la degenerazione nei rapporti tra Stato e Regioni. E oggi, la Corte ce ne dà conferma: l’autonomia differenziata in se è legittima, proprio in base alle modifiche del 2001. E sono proprio quelle l’obiettivo strategico della nostra lotta.

E il referendum?
Il cammino verso il referendum abrogativo totale si fa ancora più in salita. L’esclusione delle Regioni a Statuto Speciale e le modifiche imposte dalla Corte potrebbero calmare molti animi, facendo perdere slancio a una battaglia che, invece, è più urgente che mai. Non possiamo permettere che queste modifiche cosmetiche mascherino la realtà: l’autonomia differenziata, anche nella sua forma rivista, è una minaccia per l’uguaglianza e la solidarietà tra i cittadini italiani.

Non abbassiamo la guardia
Invitiamo tutti i cittadini, le associazioni e le forze sociali a unirsi a noi. Non lasciamo che l’Italia venga divisa in tante piccole isole di disuguaglianza. La nostra battaglia è per un Paese unito, dove diritti e opportunità siano gli stessi in tutta la Repubblica, da Nord a Sud.

Continuiamo il nostro percorso di mobilitazione
Dal 20 ottobre, con la nostra assemblea nazionale, abbiamo avviato un intenso lavoro sul territorio con le assemblee territoriali, già in corso e ci accompagneranno fino alla mobilitazione nazionale del prossimo 6 dicembre. E dal lì non ci fermeremo finché non avremo respinto ogni forma di autonomia differenziata.

Comitato 1 giugno

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[PISA] TAGLI ALLA SPESA SOCIALE E BOOM DELLE INFRASTRUTTURE MILITARI: GOVERNO E AMMINISTRATORI STANNO DALLA PARTE DELLA GUERRA!
Data articolo:Fri, 15 Nov 2024 10:53:23 +0000

Con le determine n. 124 del 10 settembre e n. 134 del 27 settembre 2024, il Direttore Generale del Genio Difesa, Generale Gambardella, ha affidato le indagini preliminari e lo studio di fattibilità economica per la costruzione della Nuova Sede dei reparti di eccellenza dell’Arma dei Carabinieri – I lotto al CISAM di Pisa.

Per il primo lotto sono stati preventivati lavori per un importo pari a € 250.810.183,56, una somma ingente destinata alla realizzazione di una nuova infrastruttura militare impattante da un punto di vista ambientale e di nessuna utilitá pubblica.

Ad oggi, si tratta di un totale complessivo di 8,2 milioni di euro, allocati per servizi che il Ministero della Difesa ha affidato a due aziende, come si legge nelle due distinte determine ministeriali: una mette nero su bianco 6,7 milioni di euro per realizzare il piano di fattibilità tecnico-economico (PFTE), l’altra impegna altri 1,5 milioni di euro per la Verifica della Progettazione, operazione necessaria negli appalti pubblici.

Tutto ciò si svolge nel silenzio assordante delle istituzioni cittadine, provinciali e regionali, che sembrano più interessate ad evitare problemi e garantire la realizzazione di questi progetti nella massima tranquillitá, piuttosto che a tenere informata la cittadinanza rispetto ad opere che devastano i territori e distologono risorse dalla spesa sociale.

Questa documentazione è importante non solo per la realtá pisana, ma anche perché evidenzia chiaramente come i progetti sul territorio rappresentino pezzi di un quadro più ampio di crescente riarmo e di rafforzamento del complesso militare industriale. Difatti, tali documenti appartengono a un più grande piano che conta un totale di 27 opere, tutte all’interno del quadro del Ministero della difesa, che si dividono tra nuove strutture e ristrutturazioni di strutture giá esistenti in tutta Italia. Tra gli altri, oltre alla realtá pisana, lo stanziamento coinvolge anche la costruzione di cosidette ‘caserme verdi’ a Foggia, Forlí, Fossano e Capua, per un investimento totale vicino al miliardo di euro, che, a fronte di tagli alla spesa pubblica di oltre 3 miliardi previsti dalla manovra 2025, danno l’idea della centralitá del riarmo nella visione politica di chi governa l’Italia. È per noi inaccettabile che mentre si tagliano al minimo le spese sociali vengano dirottati i fondi che dovrebbero servire per il diritto all’abitare, per le scuole, per i trasporti e per gli ospedali pubblici.

Un’ulteriore serie di basi militari, nel contesto della crisi internazionale, significa aumentare il livello del conflitto e contribuire a fare dei territori coinvolti dei possibili obiettivi di guerra.

Uno scenario che non è da escludere in caso di ulteriore escalation, vista la follia bellicista delle classi dirigenti euro-atlantiche.

È importante continuare la mobilitazione per denunciare le responsabilità politiche di una classe dirigente che dal livello nazionale al livello locale è funzionale agli interessi della guerra e non a quelli delle classi lavoratrici e popolari. Dal Governo Draghi/Meloni, alla giunta regionale Giani, al Presidente del Parco Bani, fino al Sindaco Conti e al presidente della Provincia Angori, tutti parte del partito unico della guerra e degli affari.

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STOP AL GENOCIDIO E AL MASSACRO IN LIBANO! ISRAELE CI PORTA ALLA GUERRA. FERMIAMO IL SIONISMO CON LE RESISTENZE!
Data articolo:Thu, 14 Nov 2024 19:56:20 +0000

Dopo l’assemblea nazionale di sabato 9 novembre a Roma confermiamo la manifestazione nazionale

 🗓sabato 30 Novembre
🕦 14.00
ðŸ“Roma, Circo Massimo

Stop genocidio e  massacro in Libano!

Israele ci porta alla guerra!

Fermiamo il sionismo con le resistenze!

Nessuno può assistere al genocidio di un popolo senza reagire. Nessuno può sottovalutare che una volta legittimato l’orrore questo ti porta un regime di guerra globale anche dentro casa.

Il genocidio dei palestinesi, il massacro dei libanesi, la guerra senza limiti scatenata da Israele in tutta la regione e le conseguenze di questa sul resto del nostro mondo, impongono un grande passo in avanti delle mobilitazioni di solidarietà con la Palestina che hanno attraversato il nostro ed altri paesi da più di un anno.

Abbiamo convocato una manifestazione nazionale per il 30 novembre perché riteniamo che la rete di complicità militare, economica, politica, ideologica di cui Israele gode nel nostro paese vada spezzata. La macchina da guerra israeliana va indebolita anche qui, con ogni mezzo necessario.

Fermiamo il genocidio in Palestina e i massacri in Libano

Fermiamo Israele e la minaccia che rappresenta per tutti

Sosteniamo la resistenza dei popoli che vi si oppongono

Spezziamo le complicità del governo e delle istituzioni italiane con Israele

Il popolo palestinese ha diritto alla sua autodeterminazione

L’invasione del Libano deve cessare

Mettere fine al regime di apartheid contro i palestinesi

Diritto al ritorno per i profughi palestinesi

I criminali di guerra vengano processati

Libertà per i prigionieri politici palestinesi, anche in Italia

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Stop all’invio di armi dall’Italia e dall’Unione Europea a Israele e ai fronti di guerra

Uscire dalla Nato e da alleanze militari che ci portano alla guerra, tagliare le spese militari

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Estero

NUOTARE NEL FANGO DEL QUINTO GIRONE DELL’INFERNO
Data articolo:Thu, 14 Nov 2024 10:18:52 +0000

Quando Dante Alighieri e la sua guida raggiungono il quinto girone degli inferi nel canto VII dell’Inferno, si imbattono nel fiume Stige, dove le persone che in vita non sono riuscite a contenere la loro ira ora sguazzano e si combattono sulla superficie dell’acqua tumultuosa e fangosa, mentre sotto di loro giacciono coloro che erano stati imbronciati in vita, le cui frustrazioni vengono a galla sotto forma di bolle:

E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.

Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
trancandosi co’ denti a brano a brano.

Ogni cultura descrive una qualche variazione di questa caratterizzazione dell’inferno, in cui coloro che hanno violato le regole finalizzate a produrre una società armoniosa subiscono una punizione dopo la morte. Ad esempio, in India, nella pianura del Gange, secoli prima di Dante, gli autori sconosciuti del Garuda Purana descrissero i ventotto diversi naraka (inferni). Le somiglianze tra l’Inferno di Dante e il Garuda Purana possono essere spiegate con gli orrori e le paure comuni che gli esseri umani condividono: essere divorati vivi, annegati e mutilati. È come se per la maggior parte delle persone la giustizia disponibile sulla Terra fosse insufficiente, e quindi si manifesti la speranza che una giustizia divina alla fine consegnerà una punizione differita.

Nel gennaio 2025, Donald Trump – che ha coltivato una politica della rabbia che non è rara nel nostro mondo – inizierà il suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti. Una tale politica della rabbia è presente in molti paesi, anche in tutta l’Europa – nonostante questa si consideri un continente nel quale regna la ragione e quindi in qualche modo al di sopra di queste emozioni brutali. C’è la tentazione tra le persone progressiste di caratterizzare questa politica della rabbia come fascismo, ma questo non è esatto. Trump e la sua confraternita politica in tutto il mondo (da Giorgia Meloni in Italia a Javier Milei in Argentina) non si presentano come fascisti, né indossano gli stessi emblemi o usano la stessa retorica. Anche se alcuni dei loro seguaci brandiscono svastiche e altri simboli fascisti, la maggior parte di loro è più attenta. Non indossano uniformi militari, né chiamano i militari fuori dalle caserme per dare loro una mano. La loro politica è espressa in una moderna retorica dello sviluppo e del commercio, insieme alla promessa di posti di lavoro e benessere sociale per cittadini e cittadine. Puntano il dito contro il patto neoliberista dei vecchi partiti del liberalismo e del conservatorismo e li deridono per il loro elitarismo. Elevano gli individui al di fuori dei ranghi delle élite a salvatori, uomini e donne che, dicono, alla fine parleranno per lavoratori e lavoratrici precariÉ™ e scartatÉ™ e per le classi medie in declino. Parlano con rabbia per differenziarsi dai vecchi partiti del liberalismo e del conservatorismo, che parlano dell’orribile panorama sociale ed economico che esiste ora in gran parte del mondo senza alcuna emozione.

Questo pone la domanda: i leader di questa “estrema destra di tipo speciale” – un nuovo tipo di destra che è intimamente legata al liberalismo – stanno facendo qualcosa di particolarmente unico? Uno sguardo ravvicinato mostra che stanno semplicemente costruendo sulle fondamenta gettate dalla direzione incolore dei vecchi partiti del liberalismo e del conservatorismo. Ad esempio, i vecchi partiti hanno già:

  1. decimato il tessuto sociale attraverso la privatizzazione e la deregolamentazione, ha indebolito i sindacati attraverso politiche di uberizzazione e ha creato insicurezza e atomizzazione nella società.
  2. imposto politiche che hanno aumentato l’inflazione e ridotto i salari, aumentando al contempo la ricchezza di pochi attraverso politiche fiscali lassiste e mercati azionari in rialzo.
  3. rafforzato l’apparato repressivo dello Stato e cercato di soffocare il dissenso, anche prendendo di mira coloro che vogliono ricostruire i movimenti della classe operaia.
  4. incoraggiato la guerra e la devastazione, ad esempio impedendo un accordo di pace in Ucraina e incoraggiando il genocidio dei palestinesi da parte di Stati Uniti e Israele.

Una tale politica della rabbia è già in atto nella società, ma non è una creazione dalla “estrema destra di tipo specialeâ€. Un mondo di rabbia è il prodotto del patto neoliberista dei vecchi partiti del liberalismo e del conservatorismo. Non sono né la tedesca Alternative für Deutschland (AfD), né il Rassemblement National francese o Trump nel suo primo mandato ad aver prodotto questo mondo, per quanto repellente possa essere la loro politica. Quando questi gruppi conquistano il potere statale, diventano beneficiari di una società della rabbia prodotta dal patto neoliberista.

Il linguaggio di Trump e della sua famiglia politica è comunque allarmante. Parlano con rabbia a prescindere e rivolgono quell’ira contro le categorie vulnerabili (specialmente persone migranti e dissidenti). Trump, ad esempio, parla delle persone rifugiate come se fossero parassiti che devono essere sterminati. Un linguaggio più antico e decadente può essere ascoltato nella retorica dell’estrema destra di tipo speciale, il linguaggio della morte e del disordine. Ma questo è il loro tono, non le loro politiche. I vecchi partiti del patto neoliberista hanno già inviato le loro forze armate al confine, invaso le baraccopoli, tagliato l’assistenza sociale e il welfare dai bilanci dei loro paesi e aumentato le spese per la repressione in patria e all’estero. I vecchi politici del patto neoliberista diranno che l'”economia” è fiorente, con il che intendono dire che il mercato azionario è inondato di champagne; dicono che proteggeranno il diritto delle donne di controllare la propria salute, ma non approvano alcuna legislazione in tal senso; dicono di essere per il cessate il fuoco mentre autorizzano il trasferimento di armi per continuare la guerra e il genocidio. Il patto neoliberista ha già dislocato la società; i partiti dell’estrema destra semplicemente respingono l’ipocrisia. Non sono l’antitesi del patto neoliberista, ma la sua immagine speculare più accurata.

Eppure, la rabbia irrazionale non è lo stato d’animo delle persone che votano per i partiti di estrema destra di tipo speciale; questo è un cliché creato da politici neoliberisti privi di immaginazione. È il tono dell’estrema destra dei politici di spicco di tipo speciale che gli farebbe guadagnare un posto nel quinto cerchio dell’inferno dantesco. Sono loro quelli arrabbiati. I loro avversari dell’élite, i politici dei vecchi partiti del liberalismo e del conservatorismo, sono quelli scontrosi, sotto il fango, con le emozioni soffocate.

Nel 2017, la Fondazione Perseu Abramo in Brasile ha pubblicato uno studio sulle percezioni politiche e i valori delle persone residenti nelle favelas di San Paolo, che ha rilevato che erano a favore di maggiori politiche sociali di assistenza e welfare. Sapevano che il loro duro lavoro non si traduce in risorse sufficienti per vivere, e quindi speravano che le politiche governative fornissero un sostegno supplementare. Queste opinioni dovrebbero teoricamente portare alla crescita della politica di classe. Eppure, i ricercatori hanno scoperto che non era così. Al contrario, le idee neoliberiste avevano inondato le favelas, portando i suoi residenti a vedere il conflitto primario non come uno tra persone ricche e povere, ma tra lo stato e gli individui, e senza alcun ruolo per il capitale. I risultati di questo studio sono replicati in molte altre indagini simili. Non è che i settori della classe operaia che si rivolgono all’estrema destra di tipo speciale siano irrazionalmente arrabbiati o illusi; hanno invece le idee chiare sulla loro esperienza, ma danno la colpa del degrado delle loro vite allo Stato. Chi può biasimarlÉ™? Il loro rapporto con lo Stato non è plasmato dagli assistenti sociali o dagli uffici di assistenza, ma dalla ferocia della polizia speciale che è autorizzata a negare i loro diritti civili e umani. E così, arrivano ad associare lo Stato al patto neoliberista e a odiarlo. Emergendo da queste acque torbide, i politici dell’estrema destra appaiono come potenziali salvatori. Non importa che non abbiano alcun piano per invertire la carneficina che le politiche neoliberiste dei vecchi partiti infliggono alla società: almeno fingono di odiarla anche loro.

Eppure, il piano operativo dell’estrema destra di tipo speciale non è quello di risolvere i problemi della maggioranza, ma quello di approfondirli infliggendo alla società una forma aspra di nazionalismo, che non è radicato nell’amore per i propri simili, ma nell’odio per le persone vulnerabili. Questo odio si maschera quindi da patriottismo: le dimensioni della bandiera nazionale crescono e l’entusiasmo per l’inno nazionale aumenta di decibel. Il patriottismo comincia a puzzare di rabbia e amarezza, di violenza e frustrazione, del fango dell’inferno. Una cosa è essere patriotticÉ™ riguardo alle bandiere e agli inni, ma un’altra è essere patriotticÉ™ contro la fame e la disperazione.

Le persone desiderano essere gentili, ma il loro dolore è stato soffocato nel fango dalla disperazione e dal risentimento. Dante e la sua guida alla fine si fanno strada attraverso i gironi dell’inferno, attraversando ruscelli e voragini per arrivare a un piccolo buco nel firmamento da cui possono vedere le stelle e avere il loro primo scorcio del paradiso. Non vediamo l’ora di vedere le stelle.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della quarantaseiesima newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

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