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Recensione: Gunnar Myrdal (Gustafs, 6 dicembre 1898 – Danderyd, 17 maggio 1987) è stato
un economista e politico svedese, vincitore del Premio Nobel per l'economia nel
1974 insieme a Friedrich von Hayek. Myrdal è stato uno dei pochi economisti
del '900 a intendere l'economia non come una scienza asettica e neutrale, fatta
di equazioni e di tabelle, bensì come una disciplina aperta al contributo
di tutte le altre scienze umane e sociali e rivolta ad affrontare problemi inerenti
i bisogni individuali e sociali. Avverso al liberismo puro e teorico del Welfare
State, Myrdal ha sempre considerato la giustizia sociale come l'obiettivo primario
e significativo di un buon governo. Per dieci anni (dal 1847 al 1857) Commissario
esecutivo della CEE, egli ha contribuito a porre le fondamenta dell'Unione Europea
all'insegna di un modello di sviluppo differenziato rispetto a quello statunitense.
Myrdal si è imbattuto in un problema
centrale per le scienze umane e sociali: quello dell'obbiettività. Tema
non certo nuovo se si pensa, per esempio, a Weber, ma che, nella temperie degli
anni '60 del secolo scorso, tendeva a porsi in termini mimetici rispetto alle
scienze naturali in virtù dell'adozione incontrastata del metodo sperimentale.
Si riteneva infatti che tale metodo, producendo dati oggettivi, riduceva l'arbitrio
delle interpretazioni, costringendo gli studiosi a pervenire a conclusioni
oggettive. Myrdal ha avuto il merito di criticare con estrema efficacia questo
mito. Considerando gli sviluppi successivi delle scienze umane e sociali (economia,
sociologia, psicologia) c'è da rimpiangere il fatto che la sua critica
sia stata accantonata. Ancora oggi, a distanza di trent'anni, lo smilzo libricino
vale più dei ponderosi tomi che, in tema di metodologia delle scienze
sociali, vengono imposti agli studenti.
Il problema in questione è posto in questi termini: "L'ethos della
scienza sociale è la ricerca di verità "oggettiva"… Cos'è innanzitutto
l'oggettività? Come può lo studioso raggiungere l'oggettività,
nel suo sforzo di reperire i fatti e insieme le relazioni causali tra i fatti?
Più specificamente, come può lo studioso di problemi sociali
affrancarsi: 1) dalla schiacciante eredità di tutto quanto è stato
elaborato in precedenza entro il suo campo d'indagine, denso a sua volta di
prescrizioni normative e implicazioni teleologiche ereditate dalle passate
generazioni, e fndate sule filosofie morali metafisiche del diritto naturale
e dell'utilitarismo, dalle quali si sono poi diramate tutte le nostre teorie
economiche e sociali; 2) dai condizionamenti dell'intero contesto culturale,
economico, politico della società in cui vive, lavora, si guadagna il
pane e si assicura uno status; 3) dall'influenza che promana dalla sua stessa
personalità, modellata com'è non solo dalle tradizioni e dall'ambiente,
ma anche dal suo carattere, dalle sue inclinazioni, dalla sua biografia individuale?
(da nilalienum.it).
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