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Recensione da treccani.it: Il cognome stesso del poeta pare sia un soprannome, ricavato dalla voce dialettale foddi, "folle", accresciuta nell'epiteto "Fudduni", con cui il Fullone(nacque a Palermo agli inizi del sec. XVII) è anche noto. Tutte le fonti concordano nel segnalare l'umiltà dei natali del poeta, che esercitò il mestiere di cavatore di pietre e, transitoriamente, anche quello di marinaio. Con questo quadro esistenziale contrasta tuttavia la notizia della sua ammissione all'Accademia dei Riaccesi, tra le più illustri della città ; ed egualmente non riconducibili al cliché del poeta "senza lettere" sono l'ampiezza e la regolarità della sua produzione a stampa, da cui emergono i contatti del Fullone con i gruppi dominanti del tempo e appare la pertinenza e varietà della sua cultura, chiaramente influenzata dal sistema letterario contemporaneo. Non è quindi difficile supporre che, nonostante l'oscurità delle sue origini, il poeta abbia compiuto studi non superficiali, che gli assicurarono considerazione e rinomanza. Il Fullone ci appare infatti ben accetto al potere politico e alle istituzioni letterarie locali, tanto che nel 1651 dedicò al Senato della città e a vari eminenti cittadini (il principe di Valguarnera, don Luigi La Farina) il suo poema epico La Rusulia, che celebrava la santa protettrice della città . E in un clima di grande ufficialità , pur dichiarandosi, con la modestia necessaria all'occasione, "poviru d'arti, miseru di stili, e infecundu d'eloquenza", il Fullone ricevette consensi ed elogi in latino, toscano e siciliano da letterati e accademici (Ippolito Maia, Alfonso Salvo, Giuseppe Galeano, Vincenzo Auria e tanti altri), che espressero la loro ammirazione per "Pietro incisor di Pietre" con i consueti toni encomiastici della letteratura barocca.
A partire da A. Mongitore (Bibliotheca Sicula, Panormi 1714, II, pp. 139 ss.), che fornisce le notizie sulla sua indigenza e sul suo oscuro lavoro, si è formata una tradizione che insiste sulla rozzezza e spontaneità del poeta popolare. E questo nonostante le attestazioni di simpatia di un letterato come G. Meli, che con movenze dantesche lo ricorda nella sua "Fiera di Parnaso": "Jeu quannu vitti lu me paisanu, / L'abbrazzai, lu vasai 'ntra 'na mascidda" (La fata galanti, Palermo 1759, c. II, str. 15).
In realtà attorno alla figura del Fullone si era creata una fitta tradizione orale, che lo ha fatto autore di componimenti di dubbia attribuzione, presenti con varianti e modifiche in tutte le parti dell'isola, per lo più legati ad aneddoti fantasiosi e incontrollabili. A questo versante presunto dell'opera del Fullone si è soprattutto rivolta l'attenzione dei ricercatori dell'Ottocento, che hanno attestato la persistenza del nome del poeta nella cultura popolare, di cui egli ha incarnato lo spirito arguto e motteggiatore, il realismo beffardo e la devota religiosità . Ma proprio G. Pitré, che ha raccolto canti e materiali ascritti all'estro di "Petru Fudduni", ha espresso tutte le sue perplessità nel far combaciare l'immagine del poeta colto con quella del suo omonimo, assunto a portavoce degli ideali e della sensibilità popolari( Pietro Fullone e le sfide popolari siciliane, in Nuova Antologia, settembre 1871, pp. 41-81).
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