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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Francesca Leto, Salvatore Salamone Marino, Patri-drau, Matri-drau, convito cannibalesco, il briccone, il maestro ladro, il tredicesimo mese, il briccone, il fanciullo e l'orco, il nano e l'orco, tempo di congiunzione tra un grande anno lunisolare e il successivo, periodo liminare, classi umili prendono in giro i maggiorenti, orco nel bosco con moglie, orco nel bosco con moglie e figli(in alcune varianti), il furto ai danni dell'orco come prova di valore, imprese assegnate su richiesta dei rivali gelosi o dei fratelli invidiosi, Capodanno, fine e inizio d'anno, uso e consumo di dolcetti tipici di fine autunno e inizio inverno, moglie dell'orco finisce nel forno e la sua carne in tavola, l'orco corre per invitare i parenti e gli amici al convito cannibalesco, Erisittone sradicatore di alberi sacri, Nodey nipote del pope, nei giorni festivi lo spettacolo dei condannati a morte
Nei racconti popolari e d’autore (quello del Perrault) riportati, l’orco è una
figura fittizia, raffazzonata come in quasi tutti i racconti popolari. La di
lui moglie, l’orca, è una sua succube. Essa è poco reattiva
quando si accorge che il consorte le ha ucciso i figli. Sembra per nulla esperta,
quasi stupida, e dove non muoiono i suoi figli, muore bruciata essa stessa, incapace
di gestire l’operazione di cottura dei fanciulli catturati. In due racconti
(Le petit poucet e Il gobbo Tabagnino) non ha una sorte tragica, ma consegna
all’eroe briccone tutte le ricchezze dell’orco suo consorte.
L’orco viene spesso descritto e si muove secondo uno stereotipo
che circolava da parecchi secoli, risalente anche ad opere storico-geografiche
che descrivevano
usi cannibalici di popoli lontani. Un’opera antica greca è quella
di Erodoto, una medievale è Il milione di Marco Polo. A queste opere di
scrittori ed anche appassionati viaggiatori, se ne devono aggiungere altre di
scrittori che hanno descritto i costumi di popoli lontanissimi standosene comodamente
a casa. Una di queste opere è I viaggi di Mandeville, un resoconto di
viaggi a firma di Jehan de Mandeville, scritto in lingua anglo-normanna che cominciò a
circolare nel XIV secolo(1355). Benché il racconto descrivesse in realtà un
viaggio immaginario, fu creduto autentico per almeno due secoli(in Pino Fasano,
Letteratura di viaggio, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana). In quest’opera a proposito dei costumi di popoli del paese di
Lamory(isola a nod-est di Sumatra): - pur non alterando macroscopicamente le
fonti
(ovvero l'opera Relatio de mirabilibus
orientalium Tatarorum di Odorico
da Pordenone 1280-1331, missionario francescano), Mandeville dissemina alcuni
elementi
che
sembrano
confermare
la sua tendenza a delocalizzare nell’Oriente tratti pertinenti del demoniaco
occidentale. Parlando del commercio di bambini gestito dai mercanti che approdano
a Lamory, l’autore puntualizza che: "S’ils sont crasses, ils
les mangent tantost, et s’ils sont megres ils les font encrasser" (in
Martina Di Febo, Forme dell’antropofagia in alcuni testi medievali, articolo
pubblicato in Letteratura, alterità, dialogicità. Studi in onore
di Antonio Pioletti, Le Forme e la storia, n.s. VIII, 2015, 1, pp. 327-339).
A questi più antichi scritti se ne aggiunsero altri
dediti alle descrizioni delle popolazioni del nuovo mondo, ovvero le Americhe.
L’orco nelle fiabe
prende le sembianze sia dei maghi e delle streghe, spesso condannati perché associati
agli eretici, sia dei cosiddetti cannibali del nuovo mondo di cui i missionari
cominciavano a descrivere i costumi.
A questo proposito cito un brano tratto da un’opera di Pietro Martire d'Anghiera,
storico vissuto tra il XV e il XVI secolo (Arona 1457 - Granata 1526), ovvero “De
Orbe novo”, un trattato in cui l’autore da un resoconto indiretto
delle popolazioni che vivevano nelle Americhe. Quest’autore, vissuto in
mezzo al clero di Roma e di Spagna, si rifà probabilmente ai racconti
dei missionari, forse anche tramandati per interposta persona, che erano andati
nel nuovo mondo. Di seguito il brano:
“ I pacifici isolani si lagnano che le loro isole siano
assiduamente molestate dalle frequenti incursioni dei Cannibali, che si comportano
non diversamente
dai cacciatori quando, con la violenza e con le insidie, cacciano le fiere attraverso
i boschi. Essi mutilano i fanciulli che prendono, come noi i galli e i porci
che vogliamo crescere più grassi e più delicati al palato; e quando
sono cresciuti e fatti più grassi, li mangiano” (Pietro Martire
d'Anghiera, Mondo nuovo, Milano IEI, 1958, p. 68)
Probabilmente nel brano succitato viene descritto un cannibalismo di tipo guerresco
che tende a sterminare il nemico. Nell’antica
Europa casi isolati di cannibalismo
avvennero in occasioni di città assediate per lungo tempo. Gli abitanti
delle città assediate sopravvivevano grazie a
forme di cannibalismo. Presso gli antichi Romani vennero accusati di cannibalismo
i primi cristiani. Poi nell’alto medioevo si diffusero prima le accuse
di cannibalismo verso gli ebrei e poi verso gli eretici, questi ultimi collegati
al demoniaco. Nella mitologia greca il cannibalismo viene considerato spesso
come
una sorta
di pazzia: vedi il cannibalismo del lupo mannaro collegato alle divinità lunari,
vedi la furia cannibalesca delle Baccanti, ovvero delle tre sorelle di Semele
(Autonoe, Agave e Ino) cui Dioniso infonde la pazzia per la loro incredulità e
che scambiano il nipote Penteo per un animale da preda. Presso i greci ci sono
pure forme di cannibalismo guerresco, tipo quello dell’eroe tebano Tideo:
al tempo della guerra di Tebe, Tideo, ferito a morte da Melanippo, chiede ad
Anfiarao, accorso in sua difesa ed ucciso o ferito a morte l'avversario(dal destriero
nero), di porgergli il di lui cervello per divorarlo. Infine si può supporre
che sia esistito un cannibalismo sotto forma di sacrificio umano agli dei, sacrificio
che nella cultura greca fu connesso al peccato di hybris di coloro che avevano
organizzato tali eventi.
I novellatori spesso evidenziano una caratteristica sensoriale dell’orco
cannibale, egli sente l’odore di carne umana. Sembra quindi che l’orco
abbia sviluppato l’olfatto come alcuni animali mammiferi. Di conseguenza
dovrebbe sapere riconoscere l’odore dei suoi familiari e dei suoi animali,
distinguendolo da odori estranei alla sua cerchia. In alcuni racconti, e fra
questi Le petit poucet del Perrault, il novellatore ha avuto la sensibilità di
non contraddire questa caratteristica sensoriale dell’orco cannibale. Modifica
la capacità olfattiva dell’orco: egli sente la differenza tra carne
viva e carne morta. Anche presso un autore letterato di fiabe, Joseph Jacobs
(29 agosto 1854-30 gennaio 1916), folclorista australiano, viene riportata questa
differenza. In una sua fiaba abbastanza famosa in cui un fanciullo riesce a rubare
oggetti preziosi e magici ad un orco, Jack e il fagiolo magico, la moglie dice
al marito orco che sente odore particolare di carne: "non sai ancora riconoscere
la differenza tra l'odor di carne viva e l'odor di carne morta". Dice questo
perché aveva cucinato carne di animali(carne morta) e nello stesso tempo
aveva nascosto il fanciullo Jack; nel racconto del Perrault la moglie dell’orco
dice al marito che sta confondendo per carne viva l’odore sprigionato dal
vitello appena spellato, ma quello è convinto del fatto suo e seguendo
il suo fiuto scopre Puccettino e i fratelli sotto il letto.
Comunque nel racconto milanese, in cui l’orco sente odor di criastianucci,
la contraddizione è palese, perché l’orco non si fida del
suo olfatto e segue, mezzo addormentato, i sensi della vista per distinguere
gli estranei dai familiari. Avviene questo perché la fiaba orale solitamente
non è opera ripensata dai novellatori: il più delle volte, come
l’hanno ascoltata, così la ripetono; anche se non mancano novellatori
o novellatrici analfabete che reinterpretano e modificano il racconto: penso
alla famosa novellatrice del Pitré, Agatuzza Messia.
Lo scambio delle cuffie o berrette da notte per sottrarsi alla malvagità dell’orco è un
espediente che si trova in quasi tutte le fiabe che narrano la vicenda di fanciulli
che sono finiti prigionieri di un orco(S. Thompson, La fiaba nella tradizione
popolare, Il Saggiatore, 1967, p.64), per cui è probabile che il riferimento
all’olfatto straordinario dell’orco sia succedaneo all’espediente.
Coloro dei raccontatori che inserirono per primi l’odorato straordinario
dell’orco non si accorsero, però, che entravano in contraddizione:
questa disattenzione si presta ad interpretare l’orco come uno stupido,
oltre che un malvagio. Il che forse non fa bene alla fiaba.
In tre delle fiabe cui accenniamo (Tridicinu, Corvetto, Le petit poucet) c’è una
costante che sembra la chiave per un tentativo di interpretazione del senso della
fiaba ed anche della sua genesi. L’orco è sommamente interessato
all’organizzazione di una festa con i suoi amici e parenti. Egli va personalmente
ad invitare amici e parenti e lascia altre incombenze alla moglie. L’orco
in questo frangente si dimostra attivo nel mantenere delle relazioni sociali.
Egli sicuramente non è un lupo solitario, come per esempio il lupo mannaro
o l’uomo selvatico; egli vuole condividere le sue prede. Il racconto popolare,
la fiaba e l’eroe e qualche volta il re(il re che aiuta il gobbo Tabagnino
donandogli un bastone magico) gli impediscono di attuare questo disegno.