Interpetazione di un racconto popolare siciliano: Tridicinu(Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, XXXIII)

di Salvatore La Grassa

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Il gobbo Tabagnino e commento

Il gobbo Tabagnino

(da Fiabe italiane di Italo Calvino, 51, racconto tratto da La fola dèl Gob Tabagnein, n.38 della raccolta di Novelle popolari bolognesi di Carolina Coronedi-Berti)

Affresco del XV secolo che rappresenta un uomo selvatico nel museo dell'Homo Selvadego a Sacco in Valtellina

Il gobbo Tabagnino era un povero ciabattino che non sapeva come fare a tirare avanti, perché nessuno gli dava mai neanche da rattoppare una scarpa. Si mise a girare il mondo in cerca di fortuna.
Quando fu sera e non sapeva dove andare a dormire, vide un lumino in lontananza, e tenendo dietro al lumino, arrivò a una casa e bussò. Aprì una donna e lui domandò alloggio.
- Ma questa, - disse la donna, - è la casa dell'Uomo Selvatico, che mangia tutti quelli che trova. Se vi faccio entrare, mio marito mangerà anche voi.
Il gobbo Tabagnino la pregò e la supplicò, e la donna si mosse a compassione e gli disse: - Entrate pure, e se vi accontentate, vi seppellirò sotto la cenere.
Così fece, e quando arrivò l'Uomo Selvatico e cominciò a girare per la casa tirando su dal naso e dicendo:
Ucci ucci
Qui c'è puzza di cristianucci
O ce n'è o ce n'è stati
O ce n'è di rimpiattati.
Sua moglie gli disse: - Vieni a mangiare, cosa vai a pensare ora? - E gli servì una gran caldaia di maccheroni.
Si misero a mangiare maccheroni marito e moglie, e l'Uomo Selvatico fece una tale scorpacciata che a un certo punto disse: - Basta, io sono pieno e non ne mangio più. Questi che sono avanzati, se c'è qualcuno in casa, dàlli a lui.
- C'è un povero omino che mi ha domandato alloggio per stanotte, - disse la moglie. - Se mi prometti di non mangiarlo, lo faccio uscire.
- Fallo uscire pure -. E la donna tirò fuori dalla cenere il gobbo Tabagnino e lo fece sedere a tavola.
Davanti all'Uomo Selvatico, il povero gobbino tutto coperto di cenere tremava come una foglia, ma si fece coraggio e mangiò i maccheroni.
- Per stasera non ho più fame, - disse l'Uomo Selvatico al gobbo, - ma domattina, v'avverto, se non farete presto a scappare, vi mangerò in un boccone.
Così attaccarono a discorrere da buoni amici, e il gobbo, che era furbo come il diavolo, cominciò a dirgli: - Che bella coperta che avete sul letto!
E l'Uomo Selvatico: - È tutta ricamata d'oro e d'argento, e con la frangia tutta d'oro.
- E quel comò?
- Ci sono dentro due sacchi di quattrini.
- E quella bacchetta dietro il letto?
- È per far venire il bel tempo.
- E questa voce che si sente?
- È un pappagallo che tengo nel pollaio, e che discorre come noialtri.
- Ne avete di belle cose!
- Eh, non sono mica tutte qui! Nella stalla ho una cavalla di una bellezza mai vista, che corre come il vento.
Dopo cena, la moglie riportò Tabagnino nel suo buco sotto la cenere, e poi andò a dormire col marito. Appena fu giorno, la donna andò a chiamare Tabagnino. - Su, presto, scappate, prima che s'alzi mio marito! - Il gobbo ringraziò la donna e andò via.
Girò e girò finché arrivò al palazzo del Re di Portogallo e chiese ospitalità. Il Re lo volle vedere e gli fece raccontare la sua storia. A sentire tutte le belle cose che aveva in casa l'Uomo Selvatico, il Re fu preso da una gran voglia, e disse a Tabagnino:
- Sentimi bene, tu potrai restare qui nel palazzo e fare tutto quello che ti piacerà, ma io voglio una cosa da te.
- Dica pure, Maestà.
- Hai detto che l'Uomo Selvatico ha una bella coperta ricamata d'oro e d'argento e con la frangia tutta d'oro. Ebbene devi andare a prenderla e portarmela, se no ne andrà della tua testa.
- Ma come vuole che faccia? - disse il gobbo. - L'Uomo Selvatico mangia tutti. È lo stesso che dire che mi manda alla morte.
- Questo non m'interessa. Pensaci tu e arrangiati.
Il povero gobbo ci pensò su e quand'ebbe ben pensato, andò dal Re e gli disse:
- Sacra Corona, mi dia un cartoccio pieno di calabroni vivi, che siano digiuni da sette od otto giorni, e io le porterò la coperta -. Il Re mandò l'esercito ad acchiappare i calabroni e li diede a Tabagnino.
- Eccoti questa bacchetta, - gli disse. - È fatata e ti potrà venire buona. Quando avrai da passare dell'acqua, battila per terra e non aver paura. Anzi, intanto che tu vai là, io andrò ad aspettare in quel palazzo di là dal mare.
Il gobbo andò alla casa dell'Uomo Selvatico, stette a origliare, e capì che erano a cena. S'arrampicò alla finestra della camera da letto, entrò e si nascose sotto il letto. Quando l'Uomo Selvatico e sua moglie andarono a letto e s'addormentarono, il gobbo cacciò il cartoccio pieno di calabroni sotto le coperte e le lenzuola, e l'aperse. I calabroni, sentendo quel bel calduccio, vennero fuori e si misero a ronzare e a punzecchiare.
L'Uomo Selvatico cominciò ad agitarsi, buttò giù la coperta e il gobbo l'arrotolò sotto il letto. I calabroni s'arrabbiarono e si misero a pungere a tutt'andare; l'Uomo Selvatico e sua moglie scapparono gridando; e Tabagnino quando fu solo scappò anche lui, con la coperta sotto il braccio.
Dopo un po', l'Uomo Selvatico s'affacciò alla finestra e chiese al pappagallo che era nel pollaio: - Pappagallo, che ora è?
E il pappagallo: - È l'ora che il gobbo Tabagnino porta via la tua bella coperta!
L'Uomo Selvatico corse nella stanza e vide che la coperta non c'era più. Allora prese la cavalla, e via al galoppo, finché non avvistò il gobbo di lontano. Ma Tabagnino era già arrivato alla riva del mare, batteva per terra la bacchetta che gli aveva dato il Re, l'acqua s'apriva e lo faceva passare; e appena fu passato si tornò a rinchiudere. L'Uomo Selvatico, fermo sulla riva, si mise a gridare:
O Tabagnino di tredici il mese,
Quand'è che torni in questo paese?
Ti voglio mangiare un dì di quest'anno,
E se non ti mangerò, sarà mio danno.
Al vedere la coperta, il Re cominciò a saltare dall'allegria. Ringraziò il gobbo, ma poi gli disse:
- Tabagnino, come sei stato bravo a portargli via la coperta, sarai buono a portargli via anche la bacchetta che fa venire il bel tempo.
- Ma come volete che faccia, Sacra Corona?
- Pensaci bene, se no la pagherai con la testa.
Il gobbo ci pensò, poi chiese al Re un sacchetto di noci.
Arrivò alla casa dell'Uomo Selvatico, stette ad ascoltare, e sentì che andavano a letto. S'arrampicò in cima al tetto, e cominciò a buttare manciate di noci sulle tegole. L'Uomo Selvatico, a questo picchiettio sulle tegole, si svegliò e disse alla moglie: - Senti che grandinata! Va' subito a mettere sul tetto la bacchetta, se no la grandine mi rovina il frumento.
La donna s'alzò, aprì la finestra, e mise la bacchetta sul tetto dove c'era Tabagnino pronto a prenderla e a scappar via.
Di lì a poco, L'Uomo Selvatico si alzò, contento che avesse smesso di grandinare, e andò alla finestra.
- Pappagallo, che ora è?
E il pappagallo: - È l'ora che il gobbo Tabagnino ti porta via la bacchetta del bel tempo.
L'Uomo Selvatico prese la cavalla e via al galoppo dietro al gobbo. Lo stava già per raggiungere sulla spiaggia, ma Tabagnino batté la bacchetta, il mare s'aperse, lo fece passare e si rinchiuse. L'Uomo Selvatico gridò:
O Tabagnino di tredici il mese,
Quand'è che torni in questi paesi?
Ti voglio mangiare un dì di quest'anno,
E se non ti mangerò, sarà mio danno.
Al vedere la bacchetta, il Re non stava più nella pelle dall'allegria. Ma disse:
- Adesso devi andarmi a prendere le due borse di quattrini.
Il gobbo ci pensò su; poi si fece preparare degli arnesi da taglialegna, si cambiò d'abiti, si mise una barba finta e andò dall'Uomo Selvatico, con un'accetta, dei cunei, e una mazza. L'Uomo Selvatico non aveva mai visto Tabagnino di giorno, e poi lui, dopo un po' di tempo di buoni pasti al palazzo del Re, era anche un po' meno gobbo; quindi non lo riconobbe.
Si salutarono. - Dove andate?
- Per legna!
- Oh, qui nel bosco di legna ce n'è quanta ne volete!
Allora Tabagnino prese i suoi arnesi e si mise a lavorare attorno a una quercia grossissima. Ci piantò un cuneo, poi un altro, poi un altro ancora e prese a dargli colpi di mazza. Poi cominciò a impazientirsi facendo finta che gli si fosse incastrato un cuneo. - Non v'arrabbiate, - disse l'Uomo Selvatico, - ora vi
do una ma no -. E ficcò le mani nella apertura del tronco per vedere se tenendola larga si poteva spostare quel cuneo. Allora Tabagnino, con un colpo di mazza fece saltare via tutti i cunei e lo spacco del tronco si richiuse sulle mani dell'Uomo Selvatico.
- Per carità, aiutatemi! - Cominciò a urlare.
- Correte a casa mia, fatevi dare da mia moglie quei due grossi cunei che abbiamo, e liberatemi.
Tabagnino corse in casa della donna, e le disse: - Presto, vostro marito vuole che mi diate quei due sacchi di quattrini che sono nel comò.
- Come faccio a darveli? - disse la donna. - Abbiamo da comprare la roba! Fosse uno, ma tutti e due!
Allora Tabagnino aperse la finestra e gridò: - Me ne deve dare uno o tutti e due?
- Tutti e due! Presto! - urlò L'Uomo Selvatico.
- Avete sentito? È anche arrabbiato, - disse Tabagnino. Prese i sacchi e scappò via.
L'Uomo Selvatico dopo molti sforzi riuscì a cavar fuori le mani dal tronco, lasciandoci un bel po' di pelle e tornò a casa gemendo. E la moglie: - Ma perché m'hai fatto dare via i due sacchi di quattrini?
Il marito avrebbe voluto sprofondare. Andò dal pappagallo e: - Che ora è?
- L'ora che il gobbo Tabagnino vi sta portando via i due sacchi di quattrini!
Ma stavolta l'Uomo Selvatico era troppo pieno di dolori per corrergli dietro e si contentò di mandargli una maledizione.
Il Re volle che Tabagnino andasse a portar via anche la cavalla che correva come il vento.
- Come faccio? La stalla è chiusa a chiave e la cavalla ha tanti sonagli appesi ai finimenti! - Ma poi ci pensò su e si fece dare una lesina e un sacchetto di bambagia. Con la lesina fece un buco nella parete di legno della stalla e riuscì a ficcarsi dentro; poi cominciò a dare delle punzecchiature di lesina alla pancia della
cavalla. La cavalla scalciava e l'Uomo Selvatico, dal letto, sentiva rumore e diceva: - Povera bestia, ha male, stasera! Non vuol star quieta!
E Tabagnino dopo un po': un'altra punzecchiatura con la lesina! L'Uomo Selvatico si stancò di sentire scalciare la cavalla; andò in stalla, la fece uscire e la legò fuori all'aperto. Poi tornò a dormire. Il gobbo che era nascosto là al buio nella stalla, tornò fuori dal buco di prima, e con la bambagia riempì i sonagli della cavalla e le fasciò gli zoccoli. Poi la slegò, montò in sella e galoppò via in silenzio. Di lì a
poco, l'Uomo Selvatico come al solito si svegliò e andò alla finestra. - Pappagallo che ora è?
- È l'ora che il gobbo Tabagnino ti porta via la cavalla!
L'Uomo Selvatico avrebbe voluto inseguirlo, ma la cavalla l'aveva Tabagnino e chi la pigliava più?
Il Re tutto contento, disse: - Adesso voglio il pappagallo.
- Ma il pappagallo parla e grida!
- Pensaci tu.
Il gobbo si fece dare due zuppe inglesi, una più buona dell'altra, poi confetti, biscotti e tutti i generi di dolci. Mise tutto in una sporta e andò.
- Guarda, pappagallo, - gli disse piano, - guarda cos'ho per te. Sempre di questa avrai se vieni con me. Il pappagallo mangiò la zuppa inglese e disse: - Buona!
Così a furia di zuppa inglese, biscottini, confetti e caramelle, Tabagnino se lo portò via con sé, e quando l'Uomo Selvatico andò alla finestra, domandò: - Pappagallo, che ora è?
Dico: che ora è?
Eh, mi senti?
Che ora è? - Corse nel pollaio e lo trovò vuoto.
Al palazzo del Re, quando Tabagnino arrivò col pappagallo ci fu gran festa.
- Adesso che hai fatto tutto questo, - disse il Re, - non ti resta che di fare l'ultima.
- Ma non c'è più niente da prendere! - disse il gobbo.
- E come? - fece il Re, - c'è il pezzo più grosso. Devi portarmi l'Uomo Selvatico in persona.
- Proverò, Sacra Corona. Basta che mi faccia un abito che non si veda la gobba, e che mi faccia cambiare i connotati.
Il Re chiamò i più bravi sarti e parrucchieri e gli fece fare dei vestiti che non si riconosceva più, e poi una parrucca bionda e due bei baffi.
Così truccato, il gobbo andò dall'Uomo Selvatico e lo trovò in un campo che lavorava. Lo salutò cavandosi il cappello.
- Cosa cercate?
- Sono il fabbricante di casse da morto, - disse Tabagnino, - e cerco delle assi per la cassa del gobbo Tabagnino, che è morto.
- Oh! È crepato, finalmente! - disse l'Uomo Selvatico. - Son tanto contento che le assi ve le darò io e potete fermarvi qui a fare la cassa.
- Volentieri, - disse il gobbo. - L'unico inconveniente è che qui non posso prendere le misure del morto.
- Se non è che per questo, - disse l'Uomo Selvatico, - quel birbone era pressappoco della mia statura. Potete prendere la mia misura.
Tabagnino si mise a segare le assi e a inchiodare. Quando la cassa fu pronta, disse:
- Ecco, adesso proviamo se è della grandezza giusta -. L'Uomo Selvatico ci si sdraiò dentro.
- Proviamo col coperchio -. Ci mise sopra il coperchio e lo inchiodò. Poi prese la cassa e la portò dal Re.
Vennero tutti i signori dei dintorni, misero la cassa in mezzo a un prato e le diedero fuoco. Poi ci fu una gran festa, perché il Regno era stato liberato da quel mostro.
Il Re nominò Tabagnino suo segretario e sempre lo tenne in grande onore.
Lunga la fola, stretta la via
Dite la vostra che ho detto la mia.


Considerazioni sul racconto Il gobbo Tabagnino

Ho voluto inserire questa fola bolognese tra le fiabe che possono dare qualche contributo alla soluzione della genesi di un particolare racconto fiabesco soprattutto per la filastrocca in cui il gobbo Tabagnino è associato al mese Tredici. E’ proprio l’orco che lo chiama Tredici e vuole fortissimamente divorarlo perché altrimenti ne avrebbe danno. Questi versi fanno intendere che ogni anno e molto probabilmente tra la fine di un ciclo d’anni e il principio di un altro ciclo avviene una lotta mortale tra il vecchio e il nuovo. La filastrocca ribadisce il concetto espresso nella filastrocca della siciliana Tridicinu in cui il giovane protagonista dice che tante altre volte le suonerà a Padri-drau. Tabagnino è gobbo, ma dovrebbe essere un nano, come i grandi lavoratori e artisti della mitologia norrena: infatti sa fare di tutto, anche il taglialegna. Ma in questo racconto, come negli altri simili, affinché la scena della costruzione della bara abbia luogo, è di altezza pari a quella dell’orco, o meglio dell'uomo selvatico. Quest’ultimo sembra un contadino ricco che coltiva il frumento e lavora nei campi.
In questa fiaba non c’è il progetto da parte dell’orco di fare un convito cannibalesco con amici e parenti. Del resto l’orco è chiamato Uomo selvatico. Ma Tabagnino porta tanti dolci al pappagallo dell’orco per convincerlo a seguirlo. Comunque una grande festa viene fatta e il finale della festa consiste nel falò della bara con dentro l’orco, ovvero il contadino ricco. Probabilmente la fiaba registra un rovesciamento dei ruoli: il contadino ricco viene visto come un orco che viene sopraffatto da un povero ciabattino che dimostra di sapere svolgere diverse arti o mansioni. L'umile ciabattino posto sotto la cenere mette nel sacco o nella bara un orco solitario possidente e avido. Fra l’altro l’Uomo solitario è un enigma, in quanto non si capisce come abbia potuto arricchirsi facendo il contadino: sequestrando, derubando, uccidendo e facendo sparire nella sua pancia i malcapitati che si trovavano a passare dalle sue parti? Ma un tipo simile dovrebbe essere molto più guardingo e molto più risoluto. Sottrattagli la cavalla non tenta nemmeno di inseguire il ladro. Le cose rubate all’orco, come in quasi tutti i racconti simili, non restano ai ladri, agli ultimi, ai lavoratori, ma vanno al re, cioè al potere. Il re di questo racconto sembra che abbia pure poteri magici, in quanto dona a Tabagnino un bastone magico. Mi sembra che questo orco solitario possa rappresentare il vecchio anno o ciclo di anni che se ne va e che a marzo, nelle feste tradizionali, viene rappresentato da un fantoccio che si brucia in un falò. In molte parti d’Italia tale tradizione è stata sostituita dai falò o dalle vampate per San Giuseppe, il 19 marzo.

Sull'Uomo Selvatico

L'esistenza dell'uomo selvatico, secondo gli studiosi(vedi Wikipedia), di cui ci sono traccie culturali nel museo di Sacco in Valtellina, è tradizionale su tutto l'arco alpino e prealpino e sull'Appennino settentrionale, mentre nel Sud questa tradizione non esiste o quasi. Le leggende che lo riguardano lo descrivono generalmente come un uomo che vive al di fuori dalla società civilizzata, all'interno del bosco, dove crea la sua casa in una grotta, in una baita abbandonata o luoghi simili. Nel racconto bolognese l'uomo solitario, orco debole, è fiero delle sue acquisizioni e di tutte le sue proprietà, ed è un lavoratore dei campi che coltiva il frumento; anche in altre leggende sembra avere delle conoscenze avanzate sull'arte casearia, sull'olivocultura e sull'apicultura. Nel racconto di Tobagnino la sua figura viene inglobata in quella dell'orco e quindi diventa un soggetto da eliminare. Da esorcizzare come tutti i personaggi che impersonano l'anno che muore(e che si oppone a questo destino), perché si spera che il nuovo anno sia molto migliore del precedente.


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