Interpetazione di un racconto popolare siciliano: Tridicinu(Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, XXXIII)

di Salvatore La Grassa

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Commento e considerazioni sul racconto milanese El Tredesin e sul racconto Le petit poucet(Puccettino) del Perrault

Commento e considerazioni sul racconto milanese El Tredesìn e sul racconto Le petit poucet(Puccettino) del Perrault


In questo racconto popolare in dialetto milanese, inserito nella raccolta La novellaja milanese di Vittorio Imbriani, il protagonista, Tredesìn, è il padre molto povero di tredici figli. Questo povero padre non sa come sfamare i suoi figli. Il racconto è alquanto scarno. Non riferisce il mestiere di Tredesìn e nemmeno accenna alla madre dei suoi figli. Il personaggio più delineato del racconto è la moglie del mago-orco, una povera donna, molto altruista che accetta di aiutare Tredesìn. Questa donna e il mago-orco sono genitori di 13 figli, come Tredesìn.
Tale racconto ha qualcosa in comune col racconto Le petit poucet (tipo 327B secondo la classificazione di Stith Thompson) di Charles Perrault. Nel racconto del Perrault i sette figli sono abbandonati dai genitori nel bosco, mentre nel racconto milanese il padre Tredesìn li porta con se nel bosco dove accede alla casa dell’orco e incontra la compassionevole di lui moglie. Nei due racconti è simile lo scambio dei copricapi dei figli, andati a dormire nello stesso stanzone. Nel racconto milanese l’orco dice alla moglie di mettere per copricapo ai loro figli una cuffia rossa, mentre ai figli di Tredesìn doveva mettere un copricapo bianco. Tredesìn intuisce il disegno dell’orco e sostituisce i copricapi dei suoi figli con quelli dei figli dell’orco. L’orco alle prime luci dell’alba, forse mezzo addormentato, ammazza i bambini col copricapo bianco, ovvero uccide i suoi figli e se ne ritorna a letto, senza procedere ad alcun pasto cannibalico. Probabilmente per l’orco era più facile distinguere il copricapo di colore bianco, piuttosto che quello rosso. Una scelta infelice quella dell’orco; sarebbe stata meno ingannevole una scelta basata sull’olfatto, considerato che, appena rientrato a casa, aveva sentito odore di cristianucci. Quasi tutti i mammiferi riconoscono attraverso gli odori, ma l’uomo ha sviluppato poco questo senso.
Nel racconto francese di Puccettino l’orco nel buio della notte non si avvede che alle sue figlie è stato messo il berretto di Puccettino e dei suoi fratelli e pertanto, fidandosi solo del tatto, le uccide e torna a letto a dormire.
A questo punto c’è da osservare: “Ma che tipo di odorato ha solitamente l’orco delle favole? Spesso nei racconti si dice che senta odore di carne umana”. Probabilmente l’orco sente un odore che non fa parte delle persone e degli animali da cui è circondato? L’odore degli uomini civili è diverso da quello dell’orco e di quelli, persone ed animali, che vivono con lui? Il fatto è che la figura dell’orco è fantastica, i suoi contorni sono evanescenti e i suoi comportamenti nelle fiabe sono dettati da uno stereotipo. Ma non è peregrino ritenere che in molte culture la diversità profonda tra orco-cannibale e uomini facenti parte della comunità, della tribù sia stata messa in relazione a particolari caratteri, del tutto immaginari, come uno sviluppo gigantesco del corpo, una foltissima peluria, uno straordinario senso dell’olfatto, una voracità impressionante, una forza impari ed anche qualche vistoso difetto, come l’unico occhio di Polifemo. Nel racconto di Tredesìn e in quello di Petit Poucet viene trovato un espediente, ovvero lo scambio delle berrette da notte, affinché l’orco venga colpito profondamente con l’auto eliminazione della sua stessa progenie. Ma forse alla base del concetto di autodistruzione del cannibale c’è l’altra considerazione che un cannibale non esiterebbe a mangiare i suoi figli in caso di necessità.
Tra i due racconti c’è un’altra differenza non trascurabile, ovvero che nella fiaba del Perrault l’orco ha il progetto di di fare un convito cannibalesco con tre suoi amici orchi imbandendo sulla tavola le carni di Puccettino e dei suoi fratelli. Nella fiaba milanese invece l'orco sembra un Uomo selvatico.
Il racconto del Perrault verte su un problema probabilmente molto sentito nella Francia dell’epoca: l’abbandono dei figli da parte di famiglie molto numerose e molto povere. Lo stesso Perrault sia all’inizio sia nella chiusa del racconto ricorda il problema delle famiglie povere e numerose. Di seguito la morale di Perrault:
MORALITÉ
On ne s’afflige point d’avoir beaucoup d’enfants,
Quand ils sont tous beaux, bien faits et bien grands,
Et d’un extérieur qui brille ;
Mais si l’un d’eux est faible ou ne dit mot,
On le méprise, on le raille, on le pille ;
Quelquefois cependant c’est ce petit marmot.
Qui fera le bonheur de toute la famille.
Traduzione in italiano:
Nessuno si lamenta di aver molto figliuoli, se questi sono belli, grossi e vistosi; ma se ce n'è un solo debolino, questi è disprezzato, deriso, maltrattato; eppure qualche volta toccherà proprio al marmocchio di far la fortuna di tutta la famiglia.
Dei bambini abbandonati si occupò pure Jean Jaques Rousseau, che nel suo Discorso sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini (1755) propone un resoconto sui casi noti alla storia.

Saturno che divora un figlio in un quadro di Francisco de Goya


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