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Recensione: "Il vero luogo dell'esperienza non può essere né nella parola né nella lingua, ma nello spazio fra essi. Per questo ho cercato di definire come in-fanzia dell'uomo il luogo di un'esperienza originaria. Non si tratta dell'infanzia, in senso stretto ma piuttosto della traccia che l'infanzia dell'uomo lascia nel linguaggio stesso, cioè di quella scissione fra lingua e parola che caratterizza in modo esclusivo il linguaggio umano".
(Giorgio Agamben)
L'uomo moderno è ancora capace di esperienza o la distruzione dell'esperienza è da considerare un fatto ormai compiuto? Da questo interrogativo prende avvio la ricerca che dà il titolo al volume per proporre un ripensamento radicale del problema dell'esperienza, in cui il tema si allarga sino ad abbracciare motivi apparentemente lontani: la sotterranea solidarietà di razionalismo e irrazionalismo nella nostra cultura e lo scivolare della fantasia dalla sfera della conoscenza a quella dell'irrealtà ; la scissione fra desiderio e bisogno e l'apparizione del concetto di inconscio; il rifiuto delle ragioni dell'esperienza da parte dei movimenti giovanili e lo spostarsi dell'avventura dal quotidiano allo straordinario; la nascita dell'io e la rivendicazione dell'inesperibile nella poesia moderna.
Finché, nell'ultima parte, tutti questi motivi convergono in una teoria dell'infanzia dove alcuni dei temi cruciali del pensiero contemporaneo, come l'opposizione antropologica fra natura e cultura e quella linguistica fra lingua e parola, trovano una nuova formulazione, in una prospettiva in cui l'uomo non appare piú, secondo la tradizione metafisica, come «l'animale che ha il linguaggio», ma come l'animale che ne è privo e deve, perciò, riceverlo dall'esterno.
Intorno a questo nucleo centrale, ruotano una serie di studi sul gioco e sul rito, sull'istante e il tempo, sulla fiaba e il presepe, uniti nello stesso tentativo di ripensare il rapporto fra l'uomo e la sua storia.
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