Ripensamento e reinterpetazione di un racconto popolare municipale: Mastru Franciscu Mancia e sedi(Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, CXXVII)

di Salvatore La Grassa

TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Francesca Leto, Salvatore Salamone Marino, Matri-drau, brutta fine di un ciabattino ozioso, signora in cerca di una serva, il ciabattino diventa servo, Matri-drau come ermafrodito, ermafroditi considerati mostri, condanna a morte ermafroditi, scelta sessuale irreversibile dell'ermafrodito, ginandro, androgino



La madri-drau del racconto siciliano


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Il racconto di Francesca Leto forse demonizza un fenomeno naturale o meglio demonizza il fatto che una persona apparentemente femminile, ma con la coda, sia stata sposata, abbia trovato un compagno? Sembra che nel racconto di Borgetto a padri-drau interessi la pulizia e la casa in ordine. Si può dire che a padri-drau interessa solo l’apparenza, l’ordine esteriore? Non si può affermare, perché il personaggio non entra in scena, ma è lecito aspettarsi che tali coppie, cioè coppie di cui almeno uno è nato con sesso incerto, curino le apparenze, curino di stare nell’ombra, di mostrarsi il meno possibile. Più che a coppie di orchi o draghi, queste coppie sono più vicine agli orsi.
Il problema sorge quando la matri-drau non trova serve o massaie. Probabilmente cerca la serva perché non è più in grado di fare le faccende di casa. Probabilmente non può uscire di casa per andare al mercato perché malferma in salute. Ma la narratrice non espone queste ragioni. Non trova massaia perché la sua coda è troppo evidente? Oppure, congetturando che di pene si tratta e non di coda, perché non cela abbastanza il pene? Oppure perché si è fatta una cattiva fama, assalendo o stuprando qualche persona? Il racconto di Francesca Leto riferisce di una coda abbastanza lunga e anche pelosa che la matri-drau non riesce a contenere nel letto, sotto le coperte. Il racconto in questo tratto diventa surreale.
Per quanto riguarda la ciabatta sfondata e riparata dal ciabattino c’è da osservare che l’uso delle ciabatte fa intendere che la matri-drau cammina, stia alzata almeno in casa. Probabilmente quando non sta a letto la matri-drau porta un vestito molto largo dal cinto in giù e lungo fino ai piedi. Invece la coda o il pene viene liberato quando si denuda per mettersi a letto.
La madri-drau del racconto siciliano può essere inquadrata come un ginandro, cioè persona con sesso incerto in cui prevale la parte femminile. Mentre, per inciso, nella classificazione dei casi dubbiosi nel XVII secolo, era considerato androgino, persona con sesso incerto in cui prevale la parte maschile.
E per le mie letture dei racconti popolari ritengo che sotto quei numerosi personaggi considerati draghi nelle fiabe, forse, si nascondono nella visuale ristretta degli ascoltatori o fruitori (visuale legata alla realtà municipale e delle campagne) proprio delle persone pseudo-ermafrodite, specie quando il narratore o narratrice si riferisce a una coppia di draghi senza figli. Quello che nella fiaba viene descritto come atto cannibalico, probabilmente è un atto sessuale che va oltre i limiti del consentito della morale corrente, atto che concerne la bisessuaità di uno o di tutte e due i partner.
Ma si vuole andare oltre nel tratteggiare questa matri-drau. In un certo senso avevo in precedenza giustificato il comportamento di patri-drau ipotizzando che la matri-drau, ovvero la consorte, fosse stata sposata prima che venissero fuori i segni del sesso maschile.
In effetti pare che nel palermitano e in provincia( e in tutte le altri parti del mondo, eccetto che nei paesi bigotti*), i cosiddetti ginandri, femminili all’aspetto, ma con qualche aspetto maschile tipo un piccolo pene, abbiano trovato marito. A Palermo c’era negli anni tra il 1980 e il 1990 un’attrice di teatro piccolina, dall’aspetto femminile. Arrivata alla cinquantina, volendo lasciare il teatro, alla fine di uno spettacolo si propose come moglie a quanti avessero gradito una donna con minuscolo pene. L’attrice esortava gli spettatori anche a cercargli un tale marito visto che era a conoscenza che a Palermo e in provincia non mancavano questo tipo di unioni. La proposta dell’attrice fu ripresa in un articolo del Giornale di Sicilia.
Quindi quel patri-drau del racconto siciliano potrebbe essere stato nell’immaginario collettivo un uomo che aveva accettato una donna o ginandro con piccolo pene.
E molto probabilmente questo tipo di unioni era la soluzione antica per i nati con sesso incerto. Si è visto che i cosiddetti ermafroditi, se sceglievano un genere sessuale dovevano assolutamente rifiutare di avere rapporti sessuali utilizzando il sesso annesso, pena anche la condanna a morte. Se superavano questo limite erano condannati alla stregua dei sodomiti. Ma la Chiesa cristiana e soprattutto le diocesi, in cui avvenivano questi eccessi punibili anche duramente, avevano la possibilità di variare il peso della condanna a secondo delle circostanze.
E difatti nella diocesi di Monreale sulla sodomia non tutti la pensavano allo stesso modo. Nicola Pizzolato ha fatto ricerche presso l’archivio della Corte arcivescovile di Monreale, e nei suoi scritti si osserva che la sodomia acquista rilevanza penale «solo nel momento in cui oltrepassa i limiti di un comportamento riprovato sì, ma entro i limiti del socialmente accettabile, nient’affatto sovvertitore dell’ordine morale, sociale e naturale della comunità, come voleva la dottrina» (Pizzolato N. 2006,«Lo diavolo mi ingannao». La sodomia nelle campagne siciliane (1572-1664), «Quaderni storici», CXXII (2): 449-480).
Vuol dire che se tutto rimaneva nella sfera privata, se c’era consenso o se non c’era violenza e denuncia alle autorità, tutti quelli che venivano considerati comportamenti sessuali anormali, ovvero rapporti sodomitici, sia in ambito omosessuale, sia in ambito eterosessuale e a maggiore ragione rapporti con partner o persone sposate con caratteri intersessuali, che avvenivano per così dire nel privato lontano da occhi indiscreti, non avevano rilevanza penale. Fra l'altro il rapporto con persone intersessuali nella stragrande maggioranza dei casi non può essere procreativo per via del fatto che gli organi dell’ermafrodito/a sono molto spesso inadatti, ma dall'imperatore Giustiniano in poi gli intersessuali erano anche liberi di sposarsi, purchè si mostrassero e si comportassero sessualmente secondo il sesso prescelto. Nel caso della matri-drau del racconto di Borgetto si può arguire che preferisse gli uomini, ma che le ragazze non si fidavano di lei per via della coda o del pene evidente o quasi.
Eppure ci sono dei casi in cui uomini abbiano raggiunto lo stato interessante e abbiano partorito. E’ chiaro che si tratta di persone nate con entrambi i sessi e che è stato deciso di dichiararli e crescerli come maschi senza provvedere ad eliminare con una operazione gli organi femminili. Queste notizie si possono trovare oggi su internet. Per il passato si dovrebbe rovistare negli archivi dei tribunali, ma certe storie viaggiano nell'immaginario popolare collettivo per cui anche Giuseppe Pitré ha raccolto nella seconda metà del XIX secolo dei racconti che narravano di uomini pregni.

*Anna Fausto-Sterling e Bo Laurent, analizzando più di 80 casi di intersessuali che vivevano con genitali anomali, avevano osservato che un solo paziente era psicotico, mentre gli altri sembravano adattarsi a vivere con genitali ambigui, e anzi, molti erano sposati e avevano una vita sessuale attiva. Le studiose avevano però riscontrato una differenza tra i due generi: le donne erano meno ansiose di ricorrere ad interventi correttivi femminilizzanti da adulte, mentre più della metà degli uomini si era rivolta al chirurgo (Fausto-Sterling, A., 2006. Cuerpos sexuados. La politica de género y la construccion de la sexualidad. Melusina, in L'intersessualità tra invisibilizzazione e medicalizzazione: esplorazione del fenomeno e del trattamento di persone con condizioni intersessuali, tesi di laurea magistrale di Chiara Turcati).


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