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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Francesca Leto, Salvatore Salamone Marino, Matri-drau, brutta fine di un ciabattino ozioso, signora in cerca di una serva, il ciabattino diventa servo, Matri-drau come ermafrodito, ermafroditi considerati mostri, condanna a morte ermafroditi, scelta sessuale irreversibile dell'ermafrodito, ginandro, androgino
TAG: uomo pregno, Monreale, marchese di Villabianca, Borgetto, pensiero rigido, visione fondamentalista, dare i piedi alla porta di casa, morte sociale, morte elimina ogni differenza sessuale
Stu prenu di Murriali fu unu chi cci java vunciannu lu stomacu
e la còscia, e tantu vunciau ca stava murennu.Vinniru li chierùrici,
e ci ficiru lu tagghiu, e a locu di nisciricci acqua o puru marcia, cci niscíu
un picciriddu.
La cosa fici 'na gran maravigghia; e ancora si parra di lu prenu di Murriali.
Questa storiella fu raccontata al Pitré dalla novellatrice Rosa Brusca
di Palermo.
La tradizione strana dell'uomo incinto non si ferma nel popolo a questa storia.
Il popolo dice che nel Duomo di Monreale c'è l' immagine di quest'uomo
gravido, e l'addita in uno dei mosaici che rappresenta il miracolo di Gesù Cristo
all'idropico (v. Vangelo di S. Luca XIV.)
In altra versione di Borgetto il fatto è narrato così: Un Monrealese è malato
e chiama il medico; questi vuole conservate le urine. La moglie per trascuranza
le butta, e poi per evitare rimproveri offre a vedere le sue. Per caso era
gravida: il medico, sapendo certe del marito quelle urine, dichiara gravido
il marito. Da ciò la origine del motto: Lu prenu di Murriali.
Una persona dotta, ma anche buona e semplice come il marchese di Villabianca
spiega in questa forma il proverbio siciliano:
«
Per prenu di Murriali si sente l'abate Corvino, nato della nobile famiglia
Corvino di Palermo, quale essendo Ermafrodita e prevalendo in giovinezza nel
sesso femminile si fece ingravidare nella città di Morreale dal commendatore
Carlo Castelli cui partorì in Morreale una femina che fu Girolama Castelli,
che ebbe in marito Leonardo Cadelo nobile trapanese. « Dopo questo parto
la femmina Corvino divenne maschio e così lasciando l'abito donnesco
vestì l'abito d'abate, per cui si fe' chiamare l'abate Corvino.» da
Villabianca(ovvero Francesco Maria Emanuele Gaetani, marchese di Villabianca
nato a Palermo il 12 marzo 1720 e ivi deceduto il 6 febbraio 1802), Proverbi
siciliani, pag. 304, ms. della Biblioteca Comunale di Palermo.
Fin qui abbiamo riportato tutto quello che è riportato su questa novellina
dell’uomo incinto da Giuseppe Pitré nel IV volume delle Fiabe
novelle e racconti popolari siciliani.
Si può aggiungere che il Villabianca riferisce come uomo colto, con
qualche conoscenza delle procedure che interessavano gli ermafroditi, mentre
la narratrice palermitana Rosa Brusca resta attonita e manifesta meraviglia
sulla nascita di un figlio da persona ritenuta un uomo. Mentre a Borgetto la
storia viene razionalizzata secondo un pensiero rigido che non riconosce che
possa esistere qualcosa di mezzo fra maschio e femmina, un atteggiamento tipico
di una visione del mondo fondamentalista, che divide le persone in amici e
traditori, che ammette solo il “con noi o contro di noi”.
Nel caso dell’uomo incinto a Borgetto spunta una versione che si avvicina
alla barzelletta, mentre nel racconto di Mastro Franciscu una signora, probabilmente
con qualche anomalia di tipo sessuale fin dalla nascita, sicuramente tralasciata
dal compagno che rientra a tarda sera, diviene una draga. La sua colpa: quella
di aver attratto Mastro Franciscu, padre di cinque figlie.
Questo racconto di Mastro Franciscu regge, cioè ha una sua morale importante
perché giustamente il compito di un padre è soprattutto quello
di portare al matrimonio le figlie, ovvero di lavorare per consentire che le
figlie abbiano una dote, abbiano il minimo necessario per sposarsi degnamente.
La morte di Mastro Franciscu, probabilmente, è una sua morte per le
figlie. Quest’ultime difficilmente lo riconosceranno ancora come padre,
una volta che egli è stato attratto da una persona dal sesso incerto,
ma probabilmente duplice. L’ermafroditismo, ovvero essere sia maschio
sia femmina, è attribuito alla signora quando la narratrice narra che
la matri-drau da a Mastro Franciscu due possibilità di divoramento,
o dalla testa o dai piedi? Forse, no. C’è un’altra considerazione
da mettere in evidenza nella scelta di Mastru Franciscu di essere divorato
dai piedi. Probabilmente la novellatrice mette in evidenza come la sua scelta
di vita, ovvero lo stare insieme alla matri-drau, lo porta alla morte sociale
sicuramente, e lo avvicina alla morte reale: infatti per tradizione negli usi
funerari popolari il corpo del defunto viene deposto in modo che dia i piedi
alla porta, mentre in vita generalmente ciò è deprecabile. Passando
dalla porta di casa e andando al cimitero, sede dei morti, la salma e la sua
anima abbandonano la casa e la vita socialmente intesa. Il vero drago è la
morte che tutto inghiotte, senza nemmeno lasciare traccia di ossa, e che elimina
ogni differenza sessuale. Mastru Franciscu, con questa scelta, riconosce che
avevano ragione la moglie (probabilmente defunta) e le figlie. Il fatto che
la matri-drau inghiottendo Mastru Franciscu non rimette fuori nemmeno le ossa è forse
una considerazione della morte totale sociale del ciabattino. La narratrice
vuole dire che le figlie non cureranno nemmeno la sua sepoltura alla sua morte.