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TAG: mito di Pelope, Tantalo, Pelopidi, 13° cavaliere, pretendenti, Ippodamia, Mirtilo, Enomao, Frigia, Elide, Pisa
PELOPE ( Pelops) è un eroe della mitologia greca, famoso soprattutto per
essere stato il capostipite di quella famiglia (i Pelopidi), da cui traevano
la loro origine Agamennone e Menelao. Pelope. fu uno dei figli di Tantalo,
re della Frigia.
Il mito di Tantalo e Pelope sembra provenga da un racconto molto antico
di cui non si conoscono le fonti. Proprio Pindaro stesso, il poeta di Beozia
vissuto tra il VI e il V sec.a.C., evidenziò questo dato e aggiunse che fosse
il frutto di menzogna e di invidia da parte di vicini(Olimpiche, 24-66). Tantalo,
figlio di Zeus, per provare l'onniscienza degli dei li invitò ad
un banchetto in cui offrì loro le carni del giovane figlio Pelope. Essendosi
accorti del macabro inganno, tutti i celesti non accettarono quel cibo, eccetto
Demetra che, sconvolta dalla perdita della figlia Persefone, non vi badò e
divorò una spalla. Dopo aver punito Tantalo gli dei resuscitarono Pelope,
fornendogli una spalla d'avorio, creata da Efesto. Secondo altri autori Pelope
era nato con quella malformazione( Pindaro, Olimpiche, 1, 46-51) e dopo essere
stato assassinato, Rea, la divinità della terra gli diede con un soffio
nuovamente la vita( Servio, commento a Virgilio, Eneide VI, 603), oppure, secondo
altre versioni, facendolo adagiare su un calderone(Schol. Pindaro, Olimpiche
1, 40a). Secondo un'altra versione, al banchetto indetto dal padre Tantalo,
al quale
partecipavano anche gli dei, Poseidone vedendo Pelope se ne innamorò,
portandolo con sé sull'Olimpo. A causa della colpa del padre, cioè l'aver
offerto a degli uomini nettare e ambrosia, colpa per la quale fu condannato
a sopportare eternamente la fame e la sete nel Tartaro, venne però rispedito
sulla terra. Secondo altri Pelope fu richiamato in
vita da Ermes(Schol. Pind., Ol. I, 40; Servio, in Aen. VI, 603); ma si dovette
provvedere a sostituirgli in avorio una spalla che già Demetra aveva
in gran parte consumata.
Per le colpe di
Tantalo la
maledizione divina
ricadde
anche
sui
suoi figli, Niobe e Pelope, e sulla loro discendenza.
Pelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia dove
governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione
di barbari, intraprese un viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno
da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao. Questi era il re di Pisa
(in Elide), figlio del dio Ares, e non aveva mai acconsentito a concedere la
mano della figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un
oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano del proprio genero. Enomao
possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice), perciò,
sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia
di gareggiare con lui in una corsa di carri. Secondo una versione più antica
del mito(ma da Pindaro modificata), aveva promesso
la
figlia Ippodamia in sposa a colui che l'avesse rapita e posta sul suo cocchio:
Enomao
stesso però si
sarebbe gettato all'inseguimento del pretendente e l'avrebbe ucciso colla lancia
se lo avesse raggiunto prima che quegli avesse toccato l'ara di Posidone sull'Istmo
di Corinto. La sorte di Enomao era lasciata incerta in questa versione
della leggenda; probabilmente si pensava ch'egli avesse trovato la morte, precipitando
nel mare con i suoi cavalli, mentre inseguiva il rivale. Secondo però un'altra
versione della leggenda, Pelope avrebbe ottenuto la vittoria con la frode.
Già dodici
giovani(in alcune versioni
si dice che i pretendenti uccisi fossero stati 13,( K. Kerényi, Gli dei
e gli eroi della Grecia, Eroi libro I, VI, lo stesso autore ungherese dice che
sia dice che non cambia molto essere al 13° dall'essere dopo il 13°
)
avevano
perso
la
vita,
sicché quando,
tredicesimo,
Pelope
arrivò a
Pisa
in Elide, in
un
carro leggerissimo e cavalli alati datigli da Poseidone e s'innamorò d'Ippodamia,
fu terrorizzato dalla vista delle teste degli sfortunati pretendenti, inchiodate
alle porte del palazzo d'Enomao. Decise quindi di vincere la gara slealmente:
corruppe l'auriga Mirtilo, figlio di Hermes anch'egli infatuato della figlia
del re, promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli avrebbe permesso
di passare una notte con la principessa Ippodamia(in alcune versioni del mito
anche
metà del regno). Mirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i perni
degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera.
Durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò ed Enomao
morì. Durante il
viaggio alla volta di Lesbo, Pelope, sdegnato perché Mirtilo voleva usare
violenza ad Ippodamia, o almeno baciarla, l'aveva precipitato in
mare
presso
gli scogli
Geresti, alla punta meridionale dell'Eubea; da lui aveva preso il nome il mare
Mirtòo. Tutti questi diversi particolari si trovano in vario modo riuniti
nella tradizione del mito accolta ed elaborata dai poeti tragici; come appunto
nell'Enomao di Sofocle, e nell'Enomao di Euripide, che fu rappresentato nel
409 a. C. e servì di modello al poeta latino Accio: in esso, la sfida
di Enomao al ratto della figlia era sostituita da una vera gara di corsa coi
carri. La gara tra Pelope ed Enomao fu rappresentata sovente nelle pitture
vascolari, e diede soggetto al gruppo del frontone orientale del tempio di
Zeus a Olimpia.
Le nozze di Pelope e Ippodamia non potevano esser felici: l'eroe è perseguitato
dalla vendetta degli dei, cui s'aggiunge ora la maledizione lanciatagli da
Mirtilo, prima di morire. Dal matrimonio nacquero sei figli: due di essi furono
Atreo e Tieste, capostipiti di tragiche famiglie. Avendo poi Pelope avuto dalla
ninfa Assioche un figlio illegittimo, Crisippo, ch'egli amava di tenerissimo
amore, Ippodamia, temendo che i suoi propri figli venissero in seguito
privati dal padre dei loro diritti di successione, incitò i due maggiori,
Atreo e Tieste, a uccidere il fanciullo.
Scoperto il delitto, Pelope. scacciò la moglie e i figli; questi si sparsero
nel Peloponneso; Ippodamia morì poco dopo a Midèa, nell'Argolide.
Essa ebbe culto in Olimpia, dove anzi, a ricordo delle sue nozze con Pelope e
in onore di Era, patrona del matrimonio, furono istituite le feste Eree, nelle
quali si disputava, da sedici fanciulle, una gara di corsa. Ardua è l'analisi
di queste leggende, varie di età e di origine. E' possibile che Pelope
e Ippodamia fossero una coppia di dei ctoni locali del Peloponneso che avevano
epifanie equine e che fossero connessi alla coltivazione di una leguminosa, probabilmente
la fava, oppure il pisello, dato il nome della città in cui regnò Enomao
e poi Pelope. Ma è possibile pure che questo mito sia un racconto di origine
frigia in cui veniva rappresentata la loro epopea espansiva; mito riadattato
dai greci,
per includerlo nella religione dominante degli dei olimpici.