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Recensione: Il saggio fu scritto mentre il nazismo si espandeva, la Francia crollava e gran parte dell’Europa dell’Est diventava dominio nazista sotto il nome di «Nuovo ordine Europeo». Voleva essere una sorta di «messaggio in bottiglia» a un lettore che non c’era, che non sapeva come raggiungere, mettendolo in guardia dal disincanto diffuso per la dimensione politica pubblica. Descrivendo il rapporto tra cittadino e Stato, Levi denunzia un eccesso della politica proprio sulla base e in forza di una sua spoliazione, ovvero in relazione e in conseguenza di una depoliticizzazione dell’individuo che gli sembra il carattere proprio dell’anticamera dei totalitarismi. E spiega come sia nella paura il cuore della macchina generativa del potere. Un potere che proprio mentre denuncia i mali della politica e tenta di accreditarsi attraverso l’offerta di protezione salvifica, riconferma la sua vocazione ad espropriare chiunque della sua possibilità e facoltà di decidere. Un libro attuale, dunque, che converrebbe rileggere.
Il saggio, pieno di suggestioni filosofiche e psicanalitiche, si conclude affermando che “Il domani non si prepara con i pennelli ma nel cuore degli uomini: e gli uomini che hanno seguito i loro Dei al fondo dell’inferno, anelano di tornare alla luce e di germogliare, come un seme sotterrato. Dal sommo della Paura nasce una speranza, un lume di consenso dell’uomo e delle cose. Muoiono gli Dei, si ricrea la persona umana. Possono la morte e la notte rivolgere il destino? La guerra dell’uomo con se stesso è finita, se davvero l’arte ci indica il futuro, e se possiamo leggerlo sul viso e nei gesti degli uomini.”
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