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Recensione: "Lei, che cosa avrebbe fatto al mio posto?". Questo l'incipit del racconto storico sulla grandiosa vicenda di Giorgio Perlasca (1910-1992), commerciante di carni padovano che, trovatosi a Budapest durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale, salvò migliaia di ebrei dallo sterminio nazista. Con temerario coraggio, si finse ambasciatore di Spagna, e con l'aiuto di pochi altri coraggiosi, tra i quali Raoul Wallenberg, diplomatico e filantropo svedese, emise migliaia di documenti falsi e di visti per ospitare altrettanti ebrei nelle case protette di pertinenza della legazione spagnola a Budapest, fino all'arrivo dell'Armata Rossa. La sua storia fu dimenticata per molti anni, fino a quando fu "scoperto" ed insignito delle maggiori onoreficenze: "Uomo giusto" in Ungheria, Israele, Stati Uniti, Spagna e solo dopo molti anni, come al solito, in Italia. Lo stile narrativo dell'opera è semplice e scorrevole, con una necessaria digressione sull'evolversi della situazione politica e sociale di quegli anni in Ungheria, che aiuta a comprendere con maggiore compiutezza il significato degli eventi. Riporto una delle parti più belle del libro: "C'era una fila che veniva avanti e in mezzo vidi due gemelli. Io avevo la Buik della legazione con tanto di bandiera spagnola sul parafango. Quei due ragazzi mi colpirono. Erano bruni, con i riccioli. Li presi dalla fila e li sbattei dentro la macchina. Gridavo: "Queste due persone sono protette dal governo di Spagna!". Si avvicinò un maggiore tedesco, che li voleva riprendere. Io lo fermai e gli dissi: "Lei non può farlo! Questa macchina è territorio spagnolo!". Lui estrasse la pistola e ci fu un parapiglia. Mi agitava la pistola sotto la faccia, e disse: 2Mi renda quei due ragazzi, lei sta disturbando il mio lavoro". Io gli dissi: "E lei, questo lo chiama lavoro?". Arrivò un colonnello che con la mano, fece segno al maggiore di desistere. Poi si voltò verso di me e mi disse, con calma: "Li tenga. Verrà il loro momento. Verrà anche per loro". Così li tenemmo. Ce l'avevamo fatta. Quando i tedeschi si allontanarono, Wallenberg, sottovoce, mi fece: "Lei ha capito chi era quello, vero?". "No", dissi io. "Quello è Eichmann".
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