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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Agatuzza Messia, principessa-fata, generazione partenogenetica, gemelli, parto gemellare, dar da mangiare a donna in attesa, comitiva delle principesse-fate, un sacco di monete d'oro per il servizio della mammana, avvenimenti segregati per mezzo di giganti, giganti a servizio della comitiva delle principesse-fate, Tesmoforie, esclusione figura maschile, prostituzione d'alto bordo, dolci con sesamo e miele con la forma di genitali femminili, dolci chiamati mylloi, ricchezza del mondo infero, mammana e ruffiana, mammana venale, racconto elaborato a uso di adolescenti in formazione, mammane e donne altolocate
Dalla raccolta in quattro volumi di Fiabe, novelle e racconti popolari
siciliani che Giuseppe Pitrè diede alle stampe nel 1875.
Fiabe e racconti in dialetto siciliano, trasposte sulla pagina così come
le aveva ascoltate dalla viva voce dei suoi novellatori e e delle sue novellatrici:
un'operazione condotta con uno scrupolo che non ha l'eguale in nessun altro
repertorio della fiaba europea, nemmeno in quello dei fratelli Grimm.
Racconto raccolto dallo stesso Giuseppe Pitré dalla voce di Agatuza Messia, cucitrice di coltroni a Palermo nel rione che adesso si chiama Borgo Vecchio.
C'era una volta una levatrice ed era sposata. Un giorno
era in cucina, che preparava da mangiare, e si vide affacciare una
mano ed udì " Dammene!" Ella prese un piattino, e
lo riempì di quello che stava cucinando. La mano ritorna e
riconsegna il piattino pieno di monete d'oro. L'indomani alla stessa
ora che lei preparava da mangiare, un'altra volta la mano: "Dammene!" .
Lei gli porse un altro piatto più grande, e la stessa mano
glielo ritorna pieno di monete d'oro. Insomma per il corso di nove
mesi questa mano faceva sempre la stessa cosa, e la levatrice ad ingrossare
sempre il piatto, sino che si ridusse ad un bel piatto di portata(piatto
largo e bislungo). Passati nove mesi meno un giorno, di notte andaraono
a bussare alla porta della levatrice, perchè la volevano affinchè andasse
a sgravare. Ella si vestì, scese, trovò nell'atrio due
giganti; le bendarono gli occhi, se la caricarono sulle spalle, e scapparono via.
Ella non vide chi erano, ne sapeva da dove la conoscessero. Giunsero
in un altro atrio(corte interna che non si affaccia sulla strada),
e gli sconosciuti le tolsero la benda; e la fecero salire nella casa.
Come entrò vide una signora gravida e grossa: "Comare,
- le dice questa signora - voglio essere sgravata (aiutata nel parto)
da voi". - La levatrice, promossa a comare, stette lì,
e non si mosse più.
Erano già passati quindici giorni, ed il marito della levatrice
non vedendo la moglie gli incominciarono a salire i capelli in aria;
e diceva: "E come! Ah! Moglie mia! Per il tuo lavoro hai perduto
la vita. Il povero marito girò tutta la città cercando
di notte e di giorno. Ma ritorniamo alla levatrice e alla signora
partoriente. A 15 giorni, dalla venuta della levatrice, la signora
sgravò. Questa signora era una Principissa-fata, e fece due
bei figli maschi. A questo punto la principessa-fata disse: "Comare,
siete stata già 15 giorni, ed altri 15 dovete stare per assistermi." E
la levatrice restò altri 15 giorni. Passato il mese(15 più 15
giorni) disse la Principessa: 'Comare, ve ne volete andare?" - "Come
comanda vostra Eccellenza" - "Come volete essere pagata
- disse la signora - a pugnè o a pizzichè?" Disse
tra se e se, la levatrice: "Se ci dico a pizzichè, avrò un'agonia
lunga; meglio che dico a pugnè, almeno la mia agonia sarà breve.
Risponde allora la levatrice: "A pugnè" - credendo
che la volesse prendere a pugni. La Principessa chiamò i due
giganti, e fece portare un sacco grande di monete d'oro, e un altro
sacco la metà di questo; presolo fece uscire dai giganti a
pugni le monete d'oro(chiuse nel pugno della mano)che vi erano dentro
e li fece caricare nell'altro sacco. Il marito della levatrice quando
non la vide ritornare più, la credette morta e si vestì di
nero.
Bussarono i giganti(provenienti dalla casa della principessa-fata),
e lui, il marito, credette che era l'anima di sua moglie. Disse: "Ti
scongiuro in nome di Dio" - "Non mi scongiurare, che sono
tua moglie. Apri". Il marito più morto che vivo, va ad
aprire; quando la vide disse:
"
Ma è veramente mia moglie - e l'abbracciò - ."Ora
dimmi dove sei stata, io ti credevo morta".
Però, quando vide tutto quel denaro e, lei gli raccontò tutta
la storia, si tolse il lutto e non disse più nulla. E da allora
questa levatrice con tutta questa ricchezza smise di lavorare, mise
carrozza, e gli abiti venivano ed andavano; era diventata una fra
le prime signore di Palermo. Dopo dieci anni quella che una volta
faceva la levatrice passava dai Quattro Canti (un luogo centrale di
Palermo) con la sua carrozza splendida e ricca. Alza gli occhi e si
sente chiamare "Psi psi! Salite!". (Psi Psi è un
idiomatico siciliano e si può tradurre come pissi pissi). Era
una signora che la chiamava da sù. Lei scese dalla carrozza
e salì sopra a palazzo. La signora che l'aveva chiamata, quando
l'ebbe di fronte, le disse: "Comare mi avete riconosciuta?" - "Nossignora" - "Come
non vi ricordate che io sono quella signora che veniste ad aiutare
per il parto dieci anni fa, quando io vi trattenni un mese con me,
e feci questi bei bambini? Io sono pure quella che porgeva la mano
e vi domandava da mangiare. Io ero nella comitiva (inteso come classe,
gilda) delle fate; e se voi non fosse stata generosa di darmi da mangiare,
la notte morivo. E poichè foste generosa, siete arricchita.
Ora io me ne sono andata dalla comitiva e sono qui coi miei figlioli".
La levatrice, scioccata, guardava e benediceva quel momento che
aveva fatto atto di generosità. E così diventarono amiche
per sempre. Loro restarono felici e contenti e noi siamo quì e
digrigniamo i denti.