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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Agatuzza Messia, principessa-fata, generazione partenogenetica, gemelli, parto gemellare, dar da mangiare a donna in attesa, comitiva delle principesse-fate, un sacco di monete d'oro per il servizio della mammana, avvenimenti segregati per mezzo di giganti, giganti a servizio della comitiva delle principesse-fate, Tesmoforie, esclusione figura maschile, prostituzione d'alto bordo, dolci con sesamo e miele con la forma di genitali femminili, dolci chiamati mylloi, ricchezza del mondo infero, mammana e ruffiana, mammana venale, racconto elaborato a uso di adolescenti in formazione, mammane e donne altolocate
Nel finale del racconto popolare è messo l’accento sulla considerazione
della protagonista, sbalordita per aver cambiato la sua posizione sociale per
un atto di generosità nei confronti della principessa fata, quando quest’ultima
faceva parte della comitiva delle principesse fate e veniva alla sua finestra
a chiederle del cibo che stava in quel momento preparando.
Nel finale la stessa principessa, quando incontra la mammana, afferma che altrimenti,
senza quel sostentamento, sarebbe morta durante la notte.
Lo studioso che studia i racconti popolari trova enigmatico il racconto della
Messia e probabilmente neanche la raccontatrice era consapevole del messaggio
del racconto. Di sicuro la chiusa finale separa i ricchi e coloro che loro
si legano e tutti gli altri che hanno i denti sempre puliti, per il continuo
tremore della bocca quando si patisce il freddo.
Dal racconto si evince che la mammana è un tipo venale, una persona
avida. Infatti comprende che fornendo maggior cibo alla principessa viene ricambiata
con un numero maggiore di monete d’oro.
E forse dall’oro bisogna partire per tentare di svelare l’enigma
del racconto. La principessa fata, insieme ai giganti, vive in un mondo segreto
o secretato e in cui si naviga nell’oro. L’oro e la segretezza
sono caratteri di un mondo che può essere fatato, ma anche demonico.
Se nel racconto fosse stato riferito il tipo di cibo che la mammana procurava
alla principessa, forse avremmo potuto tracciare ipotizzare la motivazione
dello scambio molto favorevole alla mammana. Perché la principessa fata
sarebbe morta la notte stessa se non avesse ricevuto del cibo dalla mammana?
Si può supporre che facendo parte di quella comitiva segreta le era
interdetto di mangiare? Certo i denari per comprare il cibo non le dovevano
mancare. Seguendo il racconto si comprende che la principessa fata ha un tesoro
di monete d’oro, ma, come il re Mida, non può nutrirsi di oro.
Ma nel momento in cui chiedeva da mangiare, la principessa fata, ipoteticamente
tenuta a un digiuno che si ipotizza di tipo rituale, commetteva sacrilegio?
Purtroppo nessuna notizia ci viene da Giuseppe Pitré nelle
note dopo il racconto e alcun altro racconto, con qualche somiglianza o motivo
in comune, viene ricordato dallo studioso siciliano. Si può ipotizzare che coloro che facevano parte della comitiva
erano tenuti a una forma di digiuno o limitazione importante del cibo in tavola.
Forse questo tipo di comitiva faceva questa penitenza di digiuno nei quaranta
giorni della quaresima?
Ma una donna in attesa, in effetti, non può osservare
questo tipo di penitenza. In effetti nel racconto la principessa fata chiede
del cibo per
nove mesi meno un giorno e non per quaranta giorni. Quindi probabilmente chi
faceva parte della confraternita doveva fare del digiuno
sempre, ovvero finché ne faceva parte. E probabilmente oltre a un certa dieta
di tipo alimentare, che comunque permetteva di vivere, ogni partecipante doveva
astenersi dai rapporti sessuali. Probabilmente per la doppia regola del digiuno
alimentare e sessuale il racconto popolare assegna il nome di fata alla principessa:
ella è fata per via del fatto che ha partorito
pur avendo fatto parte di una confraternita che obbligava a un certo tipo di
digiuno alimentare e al digiuno sessuale. Probabilmente, presso il popolo a
Palermo,
quando si citava la comitiva delle principesse fate, ci si riferiva ironicamente
a qualche avvenimento che strideva con le regole imposte a coloro che frequentavano
tale comitiva o confraternita di donne: cioè che era accaduto che altre
donne partecipanti erano rimaste incinte.