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Recensione: L'ipotesi del sonno come temporaneo ritorno nel ventre materno e quella dell'esistenza
di un sogno tipico, di un «prototipo» di sogno, del cosiddetto «sogno
fondamentale» (in cui il sognatore raffigura se stesso «fallicizzato»,
cioè trasformato simbolicamente in un pene, nell'atto di penetrare in
una rappresentazione egualmente simbolica dell'utero), l'ipotesi, vale a dire,
del sogno come regressione alla madre e, insieme, come coito con la stessa, sono
le fondamenta, in cui Róheim, il maggior esponente dell'antropologia psicoanalitica,
innalza il suo edificio teorico volto a dimostrare che alla base della «cultura» (in
senso antropologico), di ogni cultura, sta il tenace legame del figlio con la
propria madre: un rapporto di dipendenza che, biologicamente determinato dalla
prolungata infanzia dell'essere umano, ne condiziona l'intera esistenza e in
qualche modo gli sottrae sempre il raggiungimento della piena maturità.
Sostenitore convinto dell'origine onirica dei miti (da lui colti allo stato nascente
fra gli aborigeni australiani), delle favole, di molte credenze popolari, delle
manifestazioni religiose primitive (animismo), dei riti magici, ecc., Róheim
compie qui un larghissimo giro d'orizzonte per dimostrare che anch'essi, al pari
dei sogni costituiscono altrettante raffigurazioni simboliche e altrettanti tentativi
di rientrare nel ventre materno.
All'originalità della tesi di fondo, che sposta decisamente l'antropologia
psicoanalitica dal piano «paterno» del Freud di Totem e tabù a
quello «materno», si accompagna la scrittura distesa, documentatissima
e spesso affascinante dell'ultimo Róheim (Le porte del sogno è la
sua opera conclusiva e vorremmo dire definitiva), che mette a disposizione del
lettore i risultati di trent'anni di ricerche «sul campo», oltre
ad un imponente materiale etnologico e folklorico: è un « lungo
viaggio » nei cinque continenti attraverso i miti (da quelli mesopotamici
ed egiziani a quelli « classici » greci e romani, a quelli eschimesi
ed australiani), le tradizioni popolari, le fiabe, le leggende, i cerimoniali
religiosi, tutte le elaborazioni fantastiche — insomma — fatte dall'uomo
per attenuare la paura e l'angoscia della separazione dalla madre.
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