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Recensione/presentazione: Oggi non si fa che parlare dei propri diritti, specie in campo sessuale. Le associazioni LGBT richiedono che le loro tendenze in campo sessuale vengano rispettate come se le pulsioni sessuali fossero fatti fondamentali di una esistenza. Ma non molti anni fa secondo la mentalità della stragrande maggioranza delle persone il sesso era un tabù o qualcosa che aveva a che fare con le case di tolleranza. Un esempio vissuto di questo tabù è il poeta Giovanni Pascoli, uomo di molta sensibilità, cui certamente piacevano le donne, ma probabilmente non tanto da potere mettere da parte le ansie per la sorte delle due sue sorelle che, signorine, vivevano con lui. Soprattuto, una di loro, Maria, aveva un grande ascendente sul poeta; e probabilmente fu cattiva consigliera quando Pascoli ebbe modo di incontrare delle donne che avevano destato il suo interesse. Si può dire che Pascoli visse l'amore sessuale solo letterariamente. Nella poesia “Digitale purpurea” della raccolta Primi poemetti si parla di un fiore strano che attira per i suoi colori e stordisce per il suo profumo, che può far morire. In quell’altra, “Il gelsomino notturno”, della raccolta Canti di Castelvecchio si accenna velatamente a una notte d’amore, probabilmente di una coppia di suoi amici: lo spegnersi della luce, il silenzio, il sonno. Dal 1897 sino circa al 1911 Giovanni Pascoli intrattenne una relazione con una signora, conosciuta tramite il sacerdote suo amico Ermenegildo Pistelli, in occasione di un giudizio espresso da costei su una sua poesia. Ne nacque uno scambio di idee e di stato d’animo. L’interlocutrice, Emma Corcos, moglie di un famoso pittore e madre di numerosi figli, era una donna sensibile, ragionatrice recentemente convertita al cristianesimo. La “gentile ignota” la chiamava il poeta, forse alludendo che inesplorati erano rimasti i recessi della sua anima, forse volontariamente inesplorati. Ma le lettere furono lette al solito dalla Maria che le giudicò molto belle e perciò pericolose per il fratello e la relazione si spense. La denominazione che il Pascoli si dava di “poeta degli amori negati” ci sembra, concludendosi la sua vita, davvero azzeccata. Le lettere alla gentile ignota, circa 100, sono state raccolte insieme alle tante che scrisse Emma Carcos al poeta nell'arco di quasi tre lustri: in questo libro ne fa una introduzione e le commenta il critico letterario Claudio Marabini. Il poeta in queste lettere esprime i suoi desideri, i suoi sogni, per esempio diventare editore in proprio, dichiarava d'essere il più grande dantista di tutti i tempi, confessava il profondo desiderio di pace, di vivere senza preoccupazioni economiche e fare soltanto poesia. Scrivere poesie stando in una casa di campagna allietata dal canto degli uccelli e dal profumo dei fiori: questo era il suo sogno più alto che confidò alla gentile ignota.
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