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Recensione (da italialibri.net)
"Il Palazzo poi è la miniera, è il pozzo, è il nido, del malcontento, dei sussurri. Comincia uno a spargere calunnie, l’altro seguita, il giorno dopo sono dieci, venti e poi… E’ come una cancrena che si allarga", dice il giudice Bata all’inizio del dramma teatrale di Ugo Betti, scritto nel 1944 e rappresentato per la prima volta il 7 gennaio 1949 al Teatro delle Arti di Roma.
Il cadavere di Ludvi-Pol, un losco e potente faccendiere, viene trovato dentro il Palazzo di Giustizia, «in una città straniera ai giorni nostri». Le indagini su questo inquietante delitto vengono affidate al consigliere Erzi. Il sospetto si addensa presto sulla sezione Grandi Cause, «un piccolo, solitario e malfermo scoglio», dice uno dei giudici, «sul quale piombano da tutte le parti ondate immense, spaventose; e cioè interessi implacabili, ricchezze sterminate, blocchi ferrei manovrati da uomini tremendi».
Di fronte alla pesantissima accusa che grava su una parte dei giudici, cresce una atmosfera angosciata e allucinante. Gli indizi dapprima sembrano convergere sul presidente Vanan che, stanco e debole, è sul punto di confessare. Ma il giuoco diabolico delle reciproche insinuazioni svela un altro intrigo: la lotta per la successione di Vanan tra il vecchio e malato giudice Croz e il giovane Cust che, dietro un ipocrita rigore morale, tira i fili di questa aggrovigliata trama di sospetti. Questi, infatti, svela a Elena, la giovane figlia del presidente Vanan, fragilità e vizi del padre. Sconvolta, Elena, che ha sempre creduto nella dirittura paterna, si getta nella tromba dell'ascensore. Poco dopo muore anche Cruz, vinto dalla malattia, ma dopo aver avuto le prove della colpevolezza di Cust, si vendica a suo modo, accusando se stesso e indicando in Cust il successore di Vanan.
Rimasto solo con la sua vittoria, Cust non riesce a placare il proprio rimorso. Sullo sfondo dell'ultima scena è una simbolica, lunghissima scala: Cust s'avvia verso di essa, per presentarsi davanti all'Alto Revisore.
«Cust! Il Consiglio… ti ha nominato», recita Erzi alla fine del dramma. «Hai vinto! (…) Addio Cust. Lascia che il mondo cammini. Essere uomini è questo». E Cust conclude: «Ho un po’ paura. Ma so che non può aiutarmi nessuno.»
Tragedia della giustizia e del potere, il dramma di Betti sonda con lucido disincanto i rapporti tra magistratura e politica, diritto e dignità umana.
In perfetto equilibrio fra realismo e metafisica, capace di rendere i personaggi, insieme più vivi e astratti, quest’opera teatrale di Ugo Betti è uno dei capolavori del Teatro italiano del ‘900, pieno di una sconvolgente attualità .
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