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Recensione: Beha descrive una palude di malaffare e di cattivi esempi che ci vengono dal potere politico: conflitti di interessi mai risolti, una legge sull’indulto mal digerita che ha portato l’anno scorso alla scarcerazione di migliaia di detenuti, una classe politica che da destra a sinistra ripropone sempre gli stessi vecchi volti dei primi anni ’90, incapace di rigenerarsi. Beha si domanda, come Lenin nel suo famoso libro, “Che fare?”, ma non trova risposte facili.
La sua denuncia, vibrante e indignata, vuol proprio colpire quello che ormai in Italia è il “Residence del potere”, non più i Palazzi metaforici descritti da Pasolini, ma una sorta di teatrino della politica e della tv, stile Bagaglino, nel quale si muovono a loro agio i nuovi cortigiani, gli “uomini di” questo o quel politico che occupano tutto: aziende pubbliche, televisioni, vertici delle grandi holding private. Cronache dal basso impero, da un’Italia in preda alle mafie criminali e alle clientele dei politici locali, dove nel Residence del potere ora spopolano, in barba a ogni minima selezione meritocratica i “figli di” politici, imprenditori, vip dello spettacolo. E’ proprio il mondo degenerato della televisione e dello spettacolo l’oggetto delle critiche più feroci di Beha. La TV come specchio drammatico di Italiopoli: l’odore emanato dai talk show è simile, le notizie sono infrequenti, il sentore di recita gattopardesco pervade i salotti TV, i conduttori e i loro garanti manager-editoriali nominati dai partiti che fanno ciò che loro chiedono i padrini del momento. La TV è l’avvilente immagine di quel Residence, del potere italiano che difende se stesso, scrive Beha. Mentre fuori, l’Italia sprofonda.
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