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Recensione: Il romanzo ruota attorno a tre date cardine, il 1906, il 1921 e il 1948, ma è solo sfiorato dall'incidenza dei grandi eventi storici. Vi si raccontano le vicende della casata dei Verderame, ricchi proprietari di terre e di esistenze. Il capostipite, Don Giachino, è un padrone sanguigno che governa come un antico tiranno, schiavo di una carnalità senza freni. Costui è un padre padrone che non confesserà mai a Lupo di essere suo padre. Ma la verità è prepotente e seppure lui vorrebbe nasconderla, essa salterà sempre fuori come l’ernia che gli pende dall’inguine. Poi abbiamo Tano, suo figlio legittimo, uomo che sa tenere le redini della città ma non riesce a resistere al corpo di Stinca, così che passerà la vita quasi a cercarla come un cane seguendo dall’odore del sangue del suo mestruo. La sorella di Stinca è Semenza, una donna cieca che ha raccolto gli insegnamenti della Canaria dottora, donna avvenente e formosa che conosce le potenzialità delle erbe curative. Un denominatore comune dei personaggi che ruotano attorno al romanzo è l’essere bestiali: la ragione è sempre subordinata all’istinto ed anche il sesso (che nel romanzo è molto presente) si fa strumento di aggressione. Tutto il romanzo è impregnato da un inesorabile anticlericalismo. Meravigliose sono le figure femminili già citate sopra Stinca e la Canaria dottora, che riescono a non soccombere anche in una società fortemente maschilista, attaccata ai bigottismi religiosi.
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